Il Medioevo impazza. Cinema, televisione, play games, giochi di piazza, “rievocazioni storiche”, saghe di qualunque tipo, gadgetBasilica Papale San francesco di Assisis, “soldatini”, armi e utensili medievali artigianalmente riprodotti, perfino “musei della tortura” (!) e “cucina medievale” (?). Vi sono città intere dove in certi giorni di festa tutti si travestono da “gente del Medioevo” e giocano al Medioevo. In un paese che compra pochi libri e ne legge meno ancora, l’ultimo “successo annunziato” di Dan Brown giunto fresco in libreria con un titolo allusivo al massimo poeta medievale, Dante, arriva subito al top delle classifiche di vendita.Bene: in fondo, la Modernità giunta alla sua fase conclusiva e trascolorante nel Postmoderno è ancora ferma, per certi versi, all’Illuminismo e al Romanticismo: e il fascino del Medioevo dipende largamente – Inquisizione, Graal, Templari & Co. – dalla querelle interna ai «due secoli / l’un contro l’altro armato», come li definiva il Manzoni. Chi ha ragione: Voltaire o Walter Scott? Diderot o Novalis? Tempo della barbarie e della superstizione o età della fede, del sentimento, della libertà e della fantasia? “Tenebre medievali” o “Luce del Medioevo”? Leggenda Nera o Leggenda Aurea?Intanto, fra Robin Hood, Disneyland, Tolkien e swords and dragons, sono più di due secoli che i ragazzi di tutta Europa sognano l’Età di Mezzo. E non parliamo della Chiesa, il cui capo ha or ora assunto il nome di un grande santo del XIII secolo. E dei rivoluzionari, che sono da sempre dei «fanatici dell’Apocalisse», come li definiva oltre mezzo secolo fa Norman Cohn, e che eternamente guardano ai modelli degli eretici e dei ribelli medievali. D’altronde, non si fa che parlare di “nuovo Medioevo”, di nuovi barbari, di Medioevo Prossimo Venturo che sarebbe alle porte. Insomma: veniamo dal Medioevo, andiamo verso il Medioevo. Medioevo dappertutto, Medioevo per sempre.E vabbè. Intanto però, nelle nostre Facoltà universitarie le cattedre di storia o di filologia collegate al Medioevo si vanno spengendo l’una dopo l’altra. A Firenze, Benigni fa l’en plein recitando Dante in piazza ma la cattedra di filologia dantesca che fu di Michele Barbi tace, mentre Società Dantesca Italiana e Società Dante Alighieri sono in affanno.

Centri di studio prestigiosi, come quello di Spoleto dedicato all’Alto Medioevo e diretto da Enrico Menestò o quello fiorentino dedicato al latino medievale che fu di Claudio Leonardi e ora è di Agostino Paravicini Bagliani, vivacchiano. Attenzione: qui parliamo di luminari di livello internazionale, non di travet dell’insegnamento e della ricerca. Gli studenti emigrano verso altre discipline, gli specializzati di sovente alto livello che non hanno avuto la “fortuna” di rifugiarsi in qualche scuola media – un Giuseppe Ligato, una Chiara Mercuri – o di godere (si fa per dire) di una precaria e smagrita borsa di studio fuggono all’estero. Solo qualcuno più fortunato sta in archivio o in biblioteca, tipo Barbara Frale o Paolo Evangelisti.

I fans del Medioevo corrono evidentemente a centinaia di migliaia a comprarsi l’ultimo Norman Cohn: quanti di loro hanno mai letto una riga di Huizinga o di Bloch, o magari di Le Goff, per tacere i nostri bravissimi italiani da Chittolini alla Frugoni a Sergi a Merlo a Montanari?

A Roma in questi giorni si discute della bizzarra contraddizione in un luogo a ciò quant’altri mai deputato: l’Istituto storico iItaliano del Medioevo, ente pubblico insediato nella splendida borrominiana Chiesa Nuova e presieduto da Massimo Miglio, Accademico dei Lincei. Perché il Medioevo va di moda e gli studi medievistici non pagano, non dant panem, non hanno successo nella società dei consumi e dello spettacolo (del resto anch’essa ora in crisi)? Che cosa c’è che non va? Ne hanno colpa gli addetti ai lavori troppo élitisti e magari un po’ noiosi, i media distratti, il pubblico disinformato, il livello culturale medio ormai penoso ?
Insomma, il Medioevo non è proprio morto, tuttavia non si sente troppo bene: ma potrebbe star meglio. Allora, Viva il Medioevo.

 

Franco Cardini
da “Avvenire” del 21.5.13