Nel cuore del Trecento le situazioni rispettive di Firenze e di Bologna non potevano essere più diverse.

Sulla città della Toscana dominava la grande presenza di Giotto. Se prendiamo come unità di misura il tema della Madonna con Bambino, la maestosa Pala di Ognissanti troneggia ancor oggi agli Uffizi esibendo la sua imponenza, come di nave di grande stazza, ben inquadrata dauntrono agilmente tracciato, incaricato del compito di iscriverla in uno spazio profondo, ma non tanto dalimitarne il volume.

Di qua dell’Appennino, invece, emergeva una figura assai più incerta, attiva tra il 1330 e il ’59, rispondente al nome di Vitale e a un cognome che, in termini odierni, sarebbe un prosaico Cavalli, allora nobilitato nel latino De Equis.

Una raffinatamostra al Museo medievale del capoluogo felsineo ne presenta proprio cinque Madonne con Bambino, assieme a poche altre opere, avori, sculture, codici miniati, al fine di stabilireuncontesto storico.C’era stato un tempo il tentativo di scorgere la longa manus del giottismo estesa anche su questo comparto della scena italica, oltre che andare a toccare la Romagna, spingersi nel Nord, da Padova a Milano, diramarsi verso il Sud, da Roma a Napoli. Ma al contrario Vitale rappresenta un nucleo di rivolta, semmai, spiega il curatore della mostra, Massimo Medica, ben coadiuvato da Daniele Benati, questo artista guardava verso Siena, il che era un modo di lanciare il guanto di sfida al giottismo fiorentino.

Si sa poi che i Senesi, Simone Martini in testa, passavano le Alpi e influivano sulla corte papale nel suo esilio avignonese, anticipando la stagione del tardo-gotico. Le Madonne di Vitale entrano perfettamente in questo clima di esercizi estenuati, longilinei, evasivi rispetto al plasticismo giottesco, mentre la loro stessa foga dinamica impedisce di richiamarli indietro verso un bizantinismo ormai sconfitto.

Mani e braccia

Le Madonne di Vitale, più che nella consistenza dei corpi, vivono nell’agilità incalzante di braccia e mani, queste ultime rese adunche, pronte a carpire una preda, a insinuarsi nelle pieghe, mentre le immagini del Figlio vanno a costituire momenti di squilibrio, tentando di svincolarsi dall’abbraccio.

Nella Madonna del ricamo il Bambino sembra avvinghiarsi alla madre, quasi sentendosi a rischio di scivolar via, e così allunga una manina nel gesto di stringere. Ma in un’altra tavola, conservata alMuseo civico di Viterbo, le mosse si invertono, intanto le dita della Madonna appaiono troppo sottili, come un pettine filiforme, e dunque stentano ad afferrare il Figlio, che perparte sua volge risolutamente le spalle alla Madre, mentre a sua volta invia un braccio esile ad afferrare, quasi con gesto stizzoso, un Santo timido e prono.

Non si pensi però che Vitale sia soltanto un «madonnaro», il suo capolavoro sta in un favoloso S. Giorgio e il Drago, all’insegna di superbe torsioni e impennate. La Scuola bolognese costituisce così una spina nel fianco del giottismo e della sua pretesa di regnare incontrastato.


Le Madonne di Vitale
A cura diMassimo Medica
Bologna – Museo civico medievale
Fino al 20 febbraio