Scarse sono le testimonianze pittoriche che ci giungono direttamente dall’XI secolo. Per l’area perugina, gli affreschi più antichi sono quelli della chiesetta di San Prospero del 1225, firmati da un certo Bonamicus: alcuni motivi iconografici rimandano a modelli romani, mentre le forme espressionistiche fanno pensare ad influenze nordiche. Della metà del ‘200, sono due affreschi con la Flagellazione e la Crocifissione nella parrocchiale di Pieve Pagliaccia, di cultura più evoluta, ma sempre d’ispirazione romana, e ancora più importanti gli affreschi nella chiesa di San Bevignate di poco successivi. Più complessa è la situazione a partire dall’ultimo decennio del ‘200 quando si avvia una notevole impresa decorativa: l’affrescatura della Sala dei Notari nel Palazzo dei Priori. Nei grandi arconi trasversi, operano almeno due pittori che dipendono chiaramente dagli affreschi della navata della chiesa superiore di Assisi, dai maestri romani e dallo stesso Giotto del ciclo francescano. Tuttavia, nel modo in cui interpretano quei grandi testi, ci si rende conto che esistono scambi con la miniatura, arte che in Perugia ha una propria linea di svolgimento, una tradizione che si perpetua per secoli, divenendo addirittura, in certi momenti, l’arte guida. Ma il maggior testo per la storia dell’arte perugina tra ‘200 e ‘300 viene offerto dai ventuno corali provenienti da San Domenico (oggi nella Biblioteca Augusta), che è anche uno dei maggiori monumenti della storia della miniatura italiana d’età gotica: se alcuni mostrano un tipico impianto bizantineggiante precimabuesco, altri si rifanno chiaramente alla cultura sviluppata nella chiesa superiore di San Francesco ad Assisi ed altri ancora mescolano motivi cimabueschi ad altri provenienti dal gotico francese. Intanto la pittura si muove su una linea più “profana” come mostrano pittori tipo il Maestro della Maestà delle Volte, il Maestro di Paciano, il Maestro di San Francesco al Prato, il Maestro ironico ed altri ancora. Anche nella seconda metà del ‘300 la storia della pittura continua a Perugia a fluire in accenti suoi specifici, per esempio in Pellino di Vannuccio.

Quanto ai molti artisti forestieri che lavorano a Perugia, la presenza di numerose personalità di varia origine, da Allegretto Nuzi al veneziano Guglielmo, agli orvietani Piero di Puccio e Cola Petruccioli ad uno stuolo di senesi (Lippo Vanni, Bartolo di Fredi, Giacomo di Mino, Niccolò di Buonaccorso), testimonia della grande vitalità dell’ambiente. A Spoleto gli affreschi più antichi sono quelli nella cripta di Sant’Isacco in Sant’Ansano ed alcuni frammenti nella controfacciata di San Gregorio Maggiore (prima metà del sec. XII). Del 1200 sono le Storie della Genesi, Patriarchi e Profeti in San Paolo inter Vineas (oggi in gran parte nella Pinacoteca di Spoleto), opera di due distinti autori, mentre altri di maggior qualità si trovano nell’abbazia di San Pietro in Valle presso Ferentillo, dove ai temi biblici tradizionali si aggiungono le Storie di Cristo. In tutto questo gruppo di opere si riscontra anche un rapporto con lavori locali più espressionistici, come i frammenti superstiti nella cripta di San Rufino ad Assisi (sec. XI), la Madonna dell’abside di San Venanzo a Spello (sec. XII) e la Croce di San Damiano in Santa Chiara ad Assisi. Opera di artista forestiero, probabilmente romano, e di più rigido e formale bizantinismo, è il mosaico del Solsterno nella facciata del Duomo spoletino (1207). Dopo il forte Maestro della Croce della Pinacoteca di Spoleto (1260 circa), ove si riscontra uno dei più antichi episodi conosciuti dello svenimento di Maria, dopo i Crocifissi di Rinaldetto, dopo i lavori di Simeone e Machilone abbiamo, verso la fine del ‘200, il Maestro delle Palazze, autore degli affreschi provenienti dall’omonimo monastero vicino a Spoleto. Ad esso si aggiunga il contemporaneo Maestro dei reliquiari di Sant’Alò, nel ‘300 il Maestro di Cesi ed infine il finissimo Maestro di Fossa. Anche in quest’area, ricca di monasteri benedettini, si può supporre che si praticasse la miniatura. Un gruppo omogeneo è rappresentato dai manoscritti provenienti dall’abbazia di Sant’Eutizio nella Val Castoriana, oggi riuniti in gran parte nella biblioteca Vallicelliana di Roma: tra i più interessanti, il manoscritto 13 con un importante disegno rappresentante la Presentazione al Tempio, il manoscritto 117 G. G. di Montecassino, i due tomi del Leggendario di San Felice di Narco, databili al 1194 (oggi presso l’archivio del Duomo di Spoleto), il Leggendario di San Brizio, nella stessa collezione, d’inferiore qualità e leggermente più tardo, un Passionario della Laurenziana di Firenze. A Foligno, è da segnalare un affresco con il Cristo benedicente tra i santi Pietro e Paolo nella cappella dell’Assunta in Santa Maria Infraportas, opera finissima di un maestro bizantineggiante (fine del sec. XII) e un altro, pressappoco coevo, con l’Arcangelo Gabriele e San Disma, di altro squisito artista assai prossimo al cosiddetto “Sozio”. Si chiama convenzionalmente così l’autore del Crocifisso conservato nella sacrestia del Duomo di Spoleto, datato al 1187 e firmato da un “Albertus So.”, integrato poi arbitrariamente nel modo suddetto. Gli stessi motivi stilistici si ravvisano in alcuni affreschi nella chiesa dei santi Giovanni e Paolo a Spoleto, assai rovinati e frammentari, con scene del Martirio di Thomas Beckett e del martirio dei due santi titolari, ove si sviluppa un senso originale di spazio e movimento. In realtà col Sozio inizia una linea artistica che si può ben definire spoletina; essa si riscontra nell’altro importante Maestro dei Crocifissi Azzurri, dei quali uno si trova nella Castellina di Norcia, uno nella chiesa di Santa Maria a Vallo di Nera e un altro nella Pinacoteca di Spoleto, tutti molti rovinati. A parte gli affreschi dell’abbazia dei Santi Severo e Martirio del XIII secolo, Orvieto diventa un centro nuovo ed originale alla metà del ‘300, tanto che prende il via una specie di scuola locale. Si ricordino Ugolino di Prete Ilario e Buccio Leonardelli, poi gli allievi del primo Piero di Puccio, Marco e Cola Petruccioli. Per quanto riguarda Gubbio, sempre a questo periodo appartiene Mello da Gubbio, autore di una serie di tavole ed affreschi tra cui la stupenda Madonna col Bimbo del Museo Diocesano. Accanto e dopo di questi, tutto un gruppo di artisti affini, tra i quali il cosiddetto Maestro di Montemartello ed altri che attendono di venire individuati, fino all’alba del nuovo secolo, quando appare l’importante figura di Ottaviano “Melli”, probabilmente nipote del Mello ora ricordato. Ma il fattore che dette un forte impulso alla pittura e all’arte in genere fu certamente il movimento francescano. Centro primo di tale azione è la chiesa che sorse ad Assisi sulla tomba del santo, la cui prima pietra fu posta il giorno successivo alla sua canonizzazione, avvenuta il 16 luglio 1227. Di fatto, San Francesco d’Assisi è chiesa-madre dell’ordine, caput et mater di tutte le altre chiese francescane, ma anche basilica papale, quindi soggetta direttamente al pontefice. Il magnifico complesso divenne, per circa ottant’anni, un grande cantiere per le arti figurative, un luogo di incontri internazionali senza pari in Europa. Ma contemporaneamente, sembra assai probabile l’installazione di una vera e propria officina nello stesso Sacro Convento, dove si prepararono le pitture murali per la chiesa e, probabilmente, per altre chiese e conventi dell’ordine. Il più antico artista attivo in San Francesco fu Giunta Pisano, mentre ad un periodo successivo appartiene il cosiddetto Maestro di San Francesco, il cui principale centro d’azione fu certo la chiesa inferiore. Verso il 1270-1280, il pittore viene affiancato da un altro artista di purissima estrazione gotica, un pittore forse inglese che avvia l’affrescatura della basilica superiore. Verso il 1279, nel cantiere di Assisi, subentra Cimabue con i suoi aiutanti. Alla decorazione cimabuesca, purtroppo ridotta in condizioni disastrose, segue l’opera degli artisti romani (Torriti, Rusuti, Maestro della Cattura) e un nuovo maestro, di cultura essenzialmente romana, fortemente classicheggiante e con alcune tangenze con lo stile del Cavallini, ma ben distinto da lui. Su questo grande pittore si è sviluppata una lunga ed accesa discussione tra coloro che vogliono conservargli l’anonimato e quelli invece che preferiscono vedervi l’esordio di Giotto verso il 1290. Certo è che nella scena con Isacco e Giacobbe, la classica struttura delle figure e l’impostazione spaziale prospettica, se da un lato ci riconducono a Roma, costituiscono anche un fatto essenzialmente nuovo, il primo testo di un’arte veramente tridimensionale, il primo episodio del rinascimento. La famosa leggenda conclude solennemente la decorazione della chiesa: sono ventotto storie della vita del santo e dei suoi miracoli, in una successione narrativa che abbraccia l’intero perimetro della navata. Il maestro in capo deve essere stato lo stesso Giotto (cui però tutta una tradizione critica tedesca ed anglosassone nega qualsiasi partecipazione all’impresa).

Il grande fiorentino dovette tuttavia intervenire direttamente solo in alcune scene; negli altri episodi appaiono in maggiore o minore misura vari aiuti. Probabilmente, alcuni anni dopo che l’affrescatura della chiesa superiore era compiuta (la datazione del ciclo francescano più ragionevole dovrebbe essere compresa tra il 1295 e il 1304), si volle rinnovare la chiesa inferiore, cui più di quaranta anni prima era stato protagonista il Maestro di San Francesco. In questo stesso momento, così importante per la pittura italiana, vengono ad Assisi e si accostano a tale interpretazione due grandi maestri senesi, Simone Martini e Pietro Lorenzetti. Accanto ai grandi artisti forestieri, ci sono pittori locali di capitale importanza che operano nel cantiere di Assisi tra la metà del ‘200 e la metà del secolo successivo: oltre il già citato Maestro di San Francesco, il Maestro del Tesoro, il Maestro dei Crocifissi Azzurri, il Maestro di Montelabate, il Maestro del Messale di Deruta, il Maestro di Donna Benedetta, infine il Maestro della Santa Chiara. La presenza di artisti locali si può supporre anche nei grandi cicli figurati della basilica francescana: un autore assai prossimo al Pittore del Crocifisso di San Francesco a Montefalco e il Maestro della Cattura.