Richard Lester, il regista statunitense che aveva diretto i primi due film dei Beatles: “A Hard Day’s Night” (1964) e “Help!” (1965), firma nel 1976 quello che rimane per molti appassionati di cinema, e non solo, il più bel film sul leggendario eroe “che ruba ai ricchi per dare ai poveri”. Originale ritratto di un uomo al crepuscolo, questo “Robin e Marian” è lontanissimo dai futuri prodotti pirotecnici degli anni ’90 e ’00 nella sua dimensione intima che riporta il vecchio Robin, ormai prossimo al tramonto, affrontare la sua ultima battaglia. Lester si concentra sull’aspetto concreto del suo film, ovvero, la potenza emotiva della storia d’amore tra Robin e l’amatissima Marian anni dopo che quest’ultimo l’aveva lasciata per partire per la Guerra Santa, il tutto è raccontato con uno stile minimale, teatrale, in cui è la recitazione a dominare su tutto. Questo è possibile grazie ad uno dei cast più densi di talento e fascino che la storia del cinema possa vantare e tutto britannico grazie a Sean Connery, una ritrovata Audrey Hepburn, un immenso Robert Shaw e Richard Harris. Il risultato è un piccolo capolavoro affascinante, ricco di passione e sentimento che emergono da una storia epica portata definitivamente ad una sua straziante conclusione. 

L’illusione di poter ricominciare

Le Crociate in Terra Santa hanno saputo tirare fuori il peggio da Re Riccardo Cuor Di Leone (Richard Harris) divenuto spietato e sanguinario, Robin (Sean Connery) è profondamente sconvolto da quello che ha visto e dopo la morte del sovrano decide di far ritorno in patria insieme all’amico fidato Little John (Nicol Williamson). L’idea dei due è quella di riformare la vecchia banda della foresta di Sherwood e ricominciare a lottare contro lo sceriffo di Notthingam (Robert Shaw) e Re Giovanni (Ian Holm) come nulla fosse cambiato in tanti anni di assenza. Ma Robin dovrà fare i conti con l’amore della sua vita, Marian (Audrey Hepburn), alla quale ha spezzato il cuore e che per risolvere la sua disperata condizione di profondo dolore ha abbracciato Dio divenendo Madre Janeth. Per Robin e la banda il ritorno alla vecchia epopea eroica sarà segnata da un percorso molto più complesso e difficile del previsto, i conti aperti anni primi dovranno essere saldati e per tutti i protagonisti non sarà facile.

Le ultime righe di una leggenda

L’abilità di Richard Lester è quella di realizzare un film in cui c’è poco spazio per le grandi scene corali, i combattimenti, “Robin e Marian” è l’antitesi dei film cappa e spada, è un racconto suggestivo del tramonto prossimo di un mito, l’illusione che il tempo non possa passare mai anche per le leggende viene qui a essere frantumata. Robin è un uomo sulla cinquantina e pieno d’acciacchi, ma è convinto fino all’ultimo di poter dire ancora la sua nel suo tempo, nei suoi luoghi. Quella di Lester è un riflessione amara sulla realtà, un ritratto, se vogliamo, della senilità visto con gli occhi di un eroe, un’amara constatazione che tutto ha una fine, “All Things Must Pass” cantava George Harrison. L’unica figura ad accorgersi che è impossibile tornare alla giovinezza è Marian, ciò che desidera è salvare l’amore per Robin e per farlo è pronta ad un atto di estremo amore, spiazzante ma allo stesso tempo di un’unicità toccante.
Il film ha il pregio di essere realizzato in modo minimale, scenografie di cartone ridotte al minimo indispensabile a far da giusto sfondo alla storia che si concentra prevalentemente sui dialoghi, intensi e profondi, che donano a  “Robin e Marian” un linguaggio molto teatrale e drammatico, ma lasciando spazio aperto anche alla commedia, all’ironia pirandelliana più pura. 

Una tensione emotiva unica

Il cast ha il pregio di sfoggiare molti degli eccezionali talenti che il cinema del ‘900 ha saputo offrire. La curiosità prima è che è composto interamente da attori britannici, la seconda è quella che vede il ritorno di Audrey Hepburn alla recitazione dopo l’abbandono provvisorio delle scene avvenuto nel 1967 dopo il bellissimo “Wait Until Dark”. Con tutta questa ricchezza, per Lester è semplice ottenere il meglio per la resa della sua storia, la coppia Hepburn-Connery dona una tensione emotiva unica che lo spettatore ha il dono di percepire ad ogni parola pronunciata, ad ogni espressione e mimica. E’ pura arte cinematografica, che ha in almeno in due scene i suoi momenti più alti e sbilanciandosi tra i più alti della sua storia: il combattimento finale tra Connery e Shaw  il regolamento di conti tra Robin e lo sceriffo, ha una potenza drammatica unica. Un duello all’ultimo sospiro, all’ultimo briciolo di energia tra due uomini stanchi che hanno già dato il meglio in passato, il verso pronunciato con un filo di voce “sono stanco” da Robert Shaw prima dell’ultimo assalto riempie il cuore di tristezza e sofferenza. L’altra grande scena è relativa al monologo ultimo, finale, di Marian. La sua dichiarazione d’amore verso Robin, sofferta e carica di emozioni, stringe ancora una volta il cuore e quella frase “ti ho amato più di Dio” ha tutto il valore di una splendida sincerità.