Nato a Vinci trentasei anni fa, Theo Caneschi è un disegnatore di fumetto italiano che collabora con il mercato francese, in particolare con la DELCOURT. Dal 1998 presta il suo talento allo studio Inklink di firenze. E’ un ex allievo della Scuola Internazionale di Comics, sede di Firenze, e iCOMICS è davvero lieta di offrirgli questo spazio per farsi raccontare i suoi “segreti d’autore”, in particolare il suo amore per la ricostruzione storica di ambienti e atmosfere.

Disegnare; una passione che hai sin da bambino?
Disegno da sempre. Credo che non esista disegnatore, professionista o meno, che non l’abbia fatto. E il motivo, a parte il piacere di farlo, rimane lo stesso di quando avevo cinque, sei, sette anni: sentirsi dire “bravo”! A scuola disegnare, disegnare bene, è anche un modo di farsi accettare dal gruppo, di mettersi in luce. Per me il disegno in quegli anni è stato questo: un bisogno personale, individuale, ma anche sociale.

Vieni dalla Scuola Internazionale di Comics di Firenze. Cosa ricordi di quell’esperienza? Quanto è stata utile alla tua formazione di artista?
Se fino ad allora il disegno per me aveva il significato che ho detto prima, frequentando la Scuola di Comics ho capito che c’era la possibilità di fare di questa mia passione un lavoro. Ovviamente è stata una cosa graduale, ma sin dall’inizio il confronto con gli altri allievi e con gli insegnanti è stato importante. Posso senz’altro dire che senza la Scuola probabilmente non mi ritroverei a fare questo lavoro, perché è stata parte determinante del percorso che ho fatto. Senza tralasciare che ho sposato una mia ex-compagna di corso! Finito il terzo anno mi sono preso praticamente un anno sabbatico, nel quale facevo altre cose ma che ho speso anche per un primo tentativo, piuttosto ingenuo se vuoi, di farmi largo nel mondo del fumetto. Non ho centrato del tutto l’obiettivo, ma presentando quello stesso materiale ho ottenuto comunque lavoro in uno studio di illustrazione. E pensare che credevo che fumetto ed illustrazione fossero due mondi a parte. Spero non sembri banale o peggio ancora venale, ma essere pagato per disegnare, i primi tempi, non mi sembrava vero.

Tu sei illustratore e fumettista: parlaci della diversità creativa tra il realizzare un’illustrazione e il raccontare una storia.
Nascendo lettore e aspirante fumettista, proseguendo come illustratore ed essendo arrivato/tornato infine a fare fumetti, è stato, di base, un bel casino, ma mi ha formato per quello che sono. Voglio dire che ora, nel mio disegnare fumetti, risento di tutte queste influenze. Fare l’illustratore mi ha insegnato la versatilità (ti può capitare di disegnare qualsiasi cosa con gli stili più diversi), il dare grande importanza a ogni singolo segno sulla pagina, alla composizione dell’immagine (perché l’illustrazione ha spesso uno scopo didattico) e alla ricerca della documentazione. Tutte queste cose sono molto utili anche nel fare fumetti, ma non basta mettere in fila tante belle illustrazioni per fare un libro a fumetti. Il fumetto richiede ritmo. Il ritmo narrativo che si cerca di rendere coi giochi di inquadrature e tutti quei trucchi di regia che rappresentano il “mestiere” del fumettista. Ma anche il ritmo “grafico” di ogni singola vignetta, che non è solo il bel disegno o la scena costruita a regola d’arte, ma anche la velocità di esecuzione, la sintesi, la potenza del tratto che è la caratteristica principale degli autori più grandi. L’eredità dell’illustratore è dunque importante, ma cerco ogni giorno di essere sempre più “fumettista”.

Chi sono stati i tuoi insegnanti e tra di loro chi e perché ti ha influenzato di più?
Ahia. Naturalmente fare classifiche sarebbe antipatico, ma posso fare diversi nomi perché la cosa migliore era proprio poter prendere da ognuno quello che preferivo. Ai miei tempi(!) la spina dorsale del corso era la coppia Marco Bianchini – Loredano Ugolini. Dal primo ho appreso le basi e un approccio professionale al fumetto; è stato un primo sguardo sul mondo degli autori veri. Il secondo andava osservato attentamente durante le sue incursioni sulle tavole degli allievi, per cercare di catturare quella rapidità nell’abbozzare le masse dei personaggi o i lineamenti di un volto. Ricordo con piacere anche Paolo Morisi, che non a caso aveva avuto già un’esperienza nella Bande Dessinèe e che mi fece capire che avrei avuto la possibilità di farcela.

A un certo della tua carriera un artista geniale come Alejandro Jodorowski ti ha notato dichiarando di essere stato “sedotto” dal tuo tratto. Che cosa ha significato questo nella tua professione?
Per prima cosa, se uno come Jodorowsky ti cerca non si può dire di no. Lui è la storia del fumetto franco-belga. Mi ha permesso di iscrivermi al club dei disegnatori che hanno lavorato con lui, pronto a lucidare le scarpe a Moebius, Jimenez, Françoise Boucq. Poi diciamocelo, sarebbe stato folle rifiutare. Illustrare una storia di un autore così famoso ti dà immediatamente una visibilità che altrimenti mi sarebbe costata molti anni di lavoro. Tra centinaia di disegnatori e serie diverse, era un’occasione troppo invitante per farsi notare. E’ stata infine una grande dimostrazione di fiducia da parte dell’editore.

Come ti trovi a lavorare all’estero?
Direi che è tutto perfetto. Ho trovato una grande professionalità sia negli sceneggiatori coi quali ho lavorato che negli editore in tutte le persone della casa editrice Delcourt, ma allo stesso tempo c’è un rapporto molto informale e soprattutto, oltre all’attenzione per il lato economico, che ci vuole, c’è una vera passione per il fumetto. Lavorare in Italia e pubblicare in Francia non mi ha mai dato nessun problema. Certamente essere lì fisicamente, più di quanto possa fare frequentando qualche festival di BD, mi aiuterebbe nel conoscere l’ambiente fumettaro e soprattutto il francese!

Come giudichi il mondo dei fumetti italiani rispetto a quello francese?
Il mondo dei fumetti italiani lo conosco poco, da lettore un po’ distratto, ed è molto difficile farsi un’idea precisa di un mercato gigantesco come quello francofono. Mi sembra di poter dire che in Italia ci sia un certo fermento a livello di web e pubblicazioni indipendenti che però fatica a uscire da un ambito di nicchia. In Francia, dove il numero dei lettori potenziali è molto maggiore, è più facile per un autore trovare la propria strada. Un’altra grande differenza è l’identificazioine di un disegnatore (o uno sceneggiatore) con la sua serie, per piccola che sia. Qua in Italia è molto più raro che un autore riesca a far arrivare il suo nome al pubblico, mentre il più delle volte rimane “nascosto” dietro al nome di un personaggio o di una serie. Penso per esempio al modello bonelliano (che rispetto molto peraltro), il quale mi fa pensare a un’altra differenza: nella Bande Desinèe è molto più difficile dare spessore narrativo ai personaggi, perché il numero di pagine di un albo è solitamente sotto le cinquanta pagine e quindi servono anni di lavoro per provare ad approfondire un po’ la trama. Ma il lettore francese ha delle aspettative diverse sotto questo aspetto, ed ha una grande importanza il fascino del libro in quanto tale, da mettere in libreria, da collezionare.

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Tratto da iCOMICS ottobre/novembre 2010