Da dove nasce la tradizione
dell’uovo di Pasqua?

 
L’ uovo è il più antico simbolo dell’origine della vita; è sempre stato associato alla primavera, alla rinascita e, nella cultura cristiana, alla resurrezione. La tradizione pagana di scambiarsi uova dipinte nelle feste propiziatorie della fertilità risale agli Egiziani ed ai Persiani. Il dono era considerato di buon auspicio, in quanto simbolo del rinnovarsi della vita. 
Tale simbologia, con qualche variante, fa parte della cultura di moltissimi popoli antichi. Tra i romani, ad esempio, Plinio testimonia il costume di seppellire nei campi uova dipinte di rosso, per tenere lontani gli influssi malefici e propiziarsi un buon raccolto.

La Pasqua ebraica (da “Pasach”, passaggio) è la ricorrenza che ricorda l’esodo dall’Egitto e la rinascita spirituale. Il pasto rituale della festa, oltre all’agnello (simbolo di dolcezza e di sacrificio) ed al pane azzimo (simbolo di penitenza), prevede le uova, simbolo di una nuova vita.

La simbologia ebraica fu assimilata dai primi cristiani, per celebrare il ritorno alla vita di Cristo. L’uovo fu mantenuto come emblema della rinascita ed associato alla sacralità del battesimo, da cui la tradizione di scambiarsi uova benedette. Anche l’uso di colorare le uova si è mantenuto nel tempo ed alcune leggende lo hanno legato alla figura di Cristo risorto: Maria Maddalena era una delle donne che erano andate al sepolcro di Gesù, ma l’aveva trovato vuoto. Allora corse alla casa nella quale si trovavano i discepoli, entrò tutta trafelata ed annunciò la straordinaria notizia. Pietro, uno dei discepoli, la guardò incredulo e disse: “Crederò a quello che dici solo se le uova contenute in quel cestello diverranno rosse.”
E subito le uova si colorarono di un rosso intenso! 

Un’altra leggenda fa risalire la tradizione a Luigi VII di Francia, ai tempi del ritorno dalla Seconda Crociata: un abate parigino accolse il sovrano con un dono di centinaia di uova, troppe anche per il cortigiano più ingordo. Fu così che Luigi VII pensò di farle dipingere e distribuirle ai suoi sudditi. 
Quattro secoli più tardi, sempre in Francia, il Re Sole, grande scialacquatore ed amante del lusso, ebbe l’idea di rivestire le uova di cioccolato. 

Ancora oggi, in molte case, si colorano le uova sode, con colori vegetali e alimentari (spinaci, ortiche e prezzemolo per il verde, camomilla o zafferano per il giallo),  oppure si svuotano facendo un forellino con un ago ad ogni estremo del guscio e decorando solo quello. Quanto all’uovo di cioccolato, è ormai d’obbligo su ogni tavola.

Pertanto prima che ne fossero disponibili versioni dolci, di zucchero e cioccolata, per secoli i nostri antenati hanno regalato uova provenienti non dalle pasticcerie ma dai pollai. Fin dall’inizio del IV secolo d. C. in molte zone d’Europa si usava regalare ai poveri, dal Venerdì Santo in poi, le uova raccolte durante la Quaresima e poi benedette; e i ragazzi ne portavano a maestri, parenti, superiori etc come pegno di amicizia.
 

Ad un certo punto si cominciò a decorarle con tinte vivaci, queste uova da regalare: da Plinio sappiamo che i romani prediligevano il rosso, che doveva distruggere ogni influsso malefico (e rosse erano le uova seppellite nei campi per propiziare un buon raccolto). In molti paesi, poi, la colorazione assumeva significati precisi: le uova di un solo colore erano riservate ai plebei, mentre quelle destinate agli aristocratici erano policrome e con elaborati disegni. Nelle famiglie di modeste condizioni l'”operazione pittura” veniva spesso affidata ai bambini, mentre le persone più facoltose ricorrevano magari a grandi artisti (una collezione di Versailles comprende due uova, che appartennero ad una figlia di Luigi XV, dipinte dal celebre Watteau).

Non commestibili ma preziosissime, infine, erano anche le uova “imperiali” (una cinquantina) fabbricate da Karl Fabergé per la corte degli zar. Il primo, del 1884, era un guscio d’oro e smalto bianco con tuorlo d’oro asportabile che, aprendosi, scopriva un’aurea chioccia contenente a sua volta una miniatura in diamante della corona imperiale, il quale celava un rubino tagliato a forma d’uovo… Il principio delle bamboline russe, insomma, applicato ad un’autentica opera d’arte che certamente avrà strappato un “oh!” di meraviglia dalle aristocratiche labbra della zarina Maria Federovna. Qualche anno fa, ricordo, ad un’asta in Svizzera qualcuno ha pagato la bella somma di circa un miliardo e mezzo per un uovo di Fabergé: un esemplare in nefrite (un minerale verde con vistose venature), guarnito di fregi di smalto e tempestato di brillanti.

 

Un ghiotto emblema

Ben lungi dal volersi (o comunque potersi) abbandonare a simili costosissime scelte, chi per la domenica di Pasqua intende limitarsi a rinnovare la tradizione delle uova (di gallina!) colorate ha a portata di mano e di portafoglio “ricette” antiche, economiche e assolutamente sicure. Basta scegliere delle belle uova bianche e lavarle bene; poi, si possono rassodare e colorare a proprio piacimento. Come? Facendole cuocere insieme ad alcuni ingredienti (naturali, va da sè, e quasi tutti reperibili anche all’ultimo momento in cucina): il guscio, molto poroso, assorbirà la colorazione dell’acqua di cottura.

Qualche esempio? Per il verde vanno bene una manciata di spinaci o di ortiche o del prezzemolo, un delicato rosa violetto si ottiene da qualche fetta di barbabietola rossa già cotta al forno, per il giallo si può ricorrere alla camomilla o ad una bustina di zafferano, il viola è fornito da viole mammole, al marrone provvede una manciata di bucce di cipolla… Quando saranno ben sode ed asciutte, raccogliete le uova dai gusci sfumati in tinte diverse in un cestello di vimini foderato con un tovagliolo bianco e guarnito con qualche fiore. L’allegro cestino, sulla tavola della festa, sarà per grandi e piccini una sorpresa bella… e buona.

Oppure, riprendendo un’usanza che ormai va perdendosi, nascondete le uova in casa o in giardino: il mattino della domenica i bambini parteciperanno ad una inconsueta “caccia al tesoro”, che vedrà vincitore chi ha saputo scoprirne il maggior numero. Il premio? Magari un bell’uovo di cioccolata, un pochino più grande di quello che comunque spetterà a ciascuno dei piccoli concorrenti.
A proposito: irresistibilmente profumate e dolci, da tempo le uova di cioccolato sono diventate il ghiotto emblema della Pasqua (ogni anno se ne vendono migliaia di quintali, con un giro d’affari di centinaia di miliardi). Spesso però paghiamo a peso d’oro molta carta e nastri, un velo di cioccolato, tanto vuoto e una piccola, spesso insignificante, sorpresa.

Anche l’uovo di Pasqua bisogna saperlo comprare, dunque, genuino e a prezzi competitivi. Non lasciamoci abbagliare dalla sua veste sgargiante o suggestionare dalla marca famosa, scegliamolo di dimensioni non eccessive, esaminiamo per bene l’etichetta per capire quantità e tipo di cioccolato usato, valutiamo il rapporto tra questi dati ed il prezzo. Un consiglio? Non scartate l’idea di approdare ad un laboratorio artigianale: è possibile uscirne con uova meno care, più pesanti e altrettanto o magari anche più buone!