Senza profitto l´azienda muore, dice Cucinelli. Ma il guadagno dev´essere raggiunto con dignità. Un´impresa, insomma, non deve arrecare danni all´ambiente e all´umanità

di Ivan Teobaldelli e Susanna Munshower

Si possono coniugare filosofia e profitto? Lusso e cultura? Dignità del lavoro e globalizzazione? Non c´è dicotomia tra questi termini? Siamo andati a chiederlo al re del cashmere, Brunello Cucinelli, che ha costruito un´azienda leader nel mondo e che lui con orgoglio definisce “impresa umanistica”.
Il luogo è Solomeo, un incantevole borgo medievale a pochi chilometri da Perugia. Qui Cucinelli si stabilì nel 1985. Aveva comprato con un prestito bancario cinque telai e cominciò a produrre i suoi capi pregiati. Il borgo era in decadenza e quasi abbandonato. Nel tempo riuscì ad acquistarlo e a ristrutturarlo integralmente. Oggi ospita i laboratori, con stanze dove lavorano al massimo 10/15 persone, gli uffici, il punto vendita, la mensa-ristorante. Colpiscono la bellezza e la qualità degli ambienti e il senso tangibile d´orgoglio e d´appartenenza che i lavoratori esprimono. È un luogo che sembra estraneo a ogni criterio aziendale tradizionale. Non ci sono cartellini da timbrare, né contrasti sindacali, né ore di straordinario, né rigide gerarchie.
Cucinelli ci accoglie nel suo studio sotto uno splendido affresco del Trecento. Il suo eloquio è appassionato e per focalizzare meglio i concetti li disegna sui fogli come una storybord.

Una famiglia contadina
‹‹I miei genitori erano contadini – racconta – e tutto iniziò con una dolorosa vicenda familiare. Mio padre lasciò la campagna e andò a lavorare in una fabbrica in città. Era l´Italia degli anni ‘60. S´abbandonavano i campi e le fattorie, ci s´infilava la tuta da operaio. Ma il ritmo della fabbrica era così stressante – produceva prefabbricati di cemento – che mio padre ogni sera tornava a casa distrutto, e in lacrime confessava: ‹‹Cosa ho fatto a Dio per essere trattato come una bestia?››.
Brunello è il classico studente “demotivato”. Ha preso il diploma di geometra, s´è iscritto svogliatamente a ingegneria e trascorre le giornate al bar.
‹‹Che grande scuola di vita era il bar! Vi passavano tutti: il furbo, il bello, il giocatore d´azzardo, il povero e il ricco. E che palestra di discussioni! Duravano fino al mattino. E quanto ci divertivamo a organizzare gli scherzi! Oggi nessuno li fa più. Che peccato! ››. E s´avverte nella sua voce la nostalgia per un epoca molto più semplice e scanzonata, la provincia italiana del dopoguerra, così magistralmente raccontata da Monicelli in Amici miei.
Quando Brunello ha venticinque anni decide di fare pullover. Ha subito le idee chiare. Ha letto le teorie di Theodore Levitt sul marketing e condivide le critiche dell´economista all´Ibm che antepone il profitto all´individuo. Ha anche chiaro in testa cosa vuole produrre: un manufatto artigianale che coniughi lusso e sartorialità. Qualcosa che non si consuma mai e non si butta via. Un capo prezioso che vinca l´usura della moda e che si possa anche lasciare in eredità ai figli.
È una scelta vincente che va di pari passo con l´intuizione di colorare il cashmere che prima era solo nero, grigio e brown. Oggi è stata creata una tavolozza di colori che comprende 700 sfumature.

Gli anni della gavetta
Cucinelli racconta con allegria gli anni della gavetta, quando da solo imbustava le maglie la notte e cambiava voce al telefono per far credere di avere un segretario. Anche se adesso la sua compagnia è leader del cashmere e ha superato i grandi marchi di Loro Piana e TSE, continua a fare sfoggio di una concretezza di stampo contadino. E gli piace specificare: ‹‹È sbagliato disperdersi in mille cose. Bisogna focalizzarne una perché diventi unica e importante. A chi mi rimproverava che il cashmere era sinonimo di lusso, rispondevo: e il raccoglitore di tartufi o quello di caviale non lavorano per un mercato del lusso? Io faccio capi che possono essere considerati costosi, ma non “cari”. Fa una grossa differenza. Costoso significa che dietro c´è un lavoro di altissima qualità››.
Non è facile da un piccolo borgo dell´Umbria sbaragliare la concorrenza mondiale. Bisogna creare un marchio forte, inconfondibile e duraturo. Un marchio che oltre alla qualità sia riempito di vita e di stile italiano. Qui si entra nella sfera più utopistica di Brunello Cucinelli, nel suo sogno di creare “un´impresa umanista”.
Cucinelli si reputa giustamente un capitalista di stampo classico, che considera il profitto indispensabile per rafforzare l´impresa, rinnovarla, renderla competitiva nel mercato internazionale. Senza profitto un´azienda muore. A questo punto però aggiunge una postilla, una variante: il guadagno – che fa più ricco Cucinelli ma anche chi ci lavora – deve essere raggiunto con “dignità”.
‹‹Dignità è una parola piccola in confronto a “etica”, ma è forse più comprensibile. Per me significa soprattutto che un azienda non deve arrecare danni all´ambiente e all´umanità››.

Le grandi idee del passato
E quali sono i suoi modelli di riferimento? ‹‹Sono le grandi idee del passato: la filosofia dei Greci, la mistica medievale, l´energia del Rinascimento italiano. Io stesso mi sento uomo del futuro perché ho riscoperto il passato. E guardo avanti confrontandomi con la storia. Tutti noi italiani abbiamo sotto gli occhi la grande lezione degli antenati che costruivano case, palazzi, chiese che duravano secoli. Come loro anch´io mi sento “custode del mondo” e protettore delle sue bellezze››.
Non è molto usuale trovare un industriale che parli questo linguaggio. L´unico esempio che mi torna alla mente è il progetto culturale sognato da Adriano Olivetti a Ivrea. Continua Cucinelli: ‹‹Ho impiegato una parte dei profitti per restaurare Solomeo, che era abbandonato, e l´altra parte per “un progetto a tre/cinque secoli” che è un Ginnasio, in uno spazio di 10.000 mq, che ospiterà un teatro, il parco delle religioni, il bosco sacro e un ippodromo. Questa struttura servirà anche alla formazione interna del personale (sono 318 addetti, con l´età media sui 30 anni, più altri 700 che lavorano l´indotto). L´innovazione è fondamentale, ci si aggiorna sulle nuove tecnologie, lo staff dei creativi si rinnova ogni due o tre anni, si offrono stages a studenti esterni, si coinvolgono artisti e scrittori››.
C´è un concetto che Cucinelli ripete spesso. L´ha mutuato dai filosofi amati: Socrate, Seneca, l´imperatore Adriano, e dagli insegnamenti di suo padre. È il concetto del “supremo bene”, che si potrebbe così sintetizzare: una vita fatta di semplicità, forza, integrità. Non è difficile cogliervi l´eco di due grandi figure umbre, Benedetto da Norcia e Francesco d´Assisi. Il primo con la sua regola monastica ora et labora, il secondo con la poesia del Cantico.

Orgoglioso di essere umbro
Cucinelli è orgogliosissimo di essere umbro e di viverci: ‹‹È una terra di santi e di creatività, e in questi luoghi c´è un attaccamento all´impresa e una qualità di vita unici. Qui l´economia si basa sulla piccola e media impresa, con punte di eccellenza che hanno portato alcune aziende ad essere prime al mondo nel loro settore››.
La stessa azienda Cucinelli conta un fatturato annuo di oltre 60 milioni di euro, con una crescita in quattro anni del 21% e un incremento per il 2005 valutato intorno all´8%. La produzione attuale è pari a 540.000 capi, con un´esportazione all´estero del 63%. La strategia commerciale è affidata a 1150 venditori esterni, tra i quali Saks Fifth Avenue, Bon Marché, Neiman Marcus e “negozi dentro negozi” esclusivi come Bergdorf Goodman di New York. ‹‹In Umbria ci sono fermento e creatività e sono del tutto assenti quei fenomeni di povertà spirituale e di solitudine che affliggono il mondo operaio delle metropoli. È una terra magica, anche se rischia di essere invasa nei prossimi anni. Bisogna restare vigili e difenderla››.
E la globalizzazione? Non la preoccupa?‹‹Globalizzazione per me significa integrazione. Sono 25 anni che vado a prendere il cashmere in Cina e in Mongolia. Sono le lane più fini, quelle prese dal collo delle capre che vivono sopra i 4000 metri. Possiamo vincere solo con la qualità. E in quanto al futuro, non bisogna avere paura né paranoie. Sa cosa diceva Alessandro Magno, nel momento della sua massima conquista, l´India? L´unica cosa che so di possedere è la terra sotto i miei piedi. Io cerco, nel mio piccolo, di fare la stessa cosa. Vivo come se dovessi morire domani ma progetto come se dovessi vivere per l´eternità››.

da “L’Altrapagina”, mensile di Città di Castello (PG)