L’Augusta di Perugia è una delle più antiche biblioteche pubbliche d’Italia, nata a fine ‘500 dalla magnifica ossessione di un grande bibliofilo.

 

Ci sono, fra i tesori della Biblioteca Augusta, alcuni libri piuttosto bizzarri, almeno a prima vista. Sembrano collage, e che collage: le figurine apposte sul bordo di alcune pagine sono state ritagliate da codici miniati del Trecento. Santi e madonnine, perché di questo si tratta, non c’entrano per nulla coi testi che affiancano, molto di più invece con quelli che coprono. Si tratta infatti di libri proibiti, censurati dal Sant’Uffizio con un sistema che da un lato si potrebbe definire barbaro, ma dall’altro inconsapevolmente sublime, visto che ha distrutto tomi preziosi e nello stesso tempo ne ha creati di nuovi, proprio come quando per costruire una chiesa si usavano le pietre e i marmi di un tempio romano.

Le censure, poi, erano nello stesso tempo meticolose e irrilevanti, roba di taglio più stalinista che clericale: si trattava di far scomparire da testi anche innocenti e ritenuti accettabili ogni riferimento a stampatori o autori protestanti, magari presente in qualche nota a margine: come ci racconta Alessandra Panzanelli, bibliotecaria e archivista dell’Università di Perugia, che la Biblioteca Augusta ha molto studiato. Lì i volumi proibiti non mancavano di certo. Ce n’era in abbondanza, perché facevano parte della collezione iniziale, e vennero difesi con discrezione dalle mire di Roma. La Biblioteca, del resto, aveva un’anima orgogliosamente «laica», come diremmo oggi, o meglio umanistica. Era un biblioteca comunale in attività dalla fine del Cinquecento.

Si discute anche, ma è un argomento tutto sommato di secondaria importanza, se possa fregiarsi del titolo di più antica biblioteca pubblica d’Italia, che le è conteso per esempio dalla Malatestiana di Rimini. Il direttore Maurizio Tarantini non è troppo appassionato all’argomento. Se si guarda alla donazione da cui nacque, spiega, è la prima. Se invece si fa il conto dall’apertura vera e propria non lo è, perché fu aperta ufficialmente al pubblico dopo quarant’anni di attività e di polemiche, che lette oggi sembrano particolarmente attuali, almeno alla luce dello scandalo recente nell’antica Biblioteca dei Girolamini, a Napoli, il cui direttore è stato arrestato con l’accusa di aver organizzato un sistematico saccheggio delle preziose collezioni.

Le biblioteche sono inquieti labirinti dove si intersecano tutte le storie del mondo, le farse e le tragedie; dove si combattono guerre e si consumano passioni magari poco carnali ma certo molto cartacee, e cioè non meno intense, esaltanti o rovinose. L’Augusta nasce da qualcosa che somiglia a un’ossessione: la passione smisurata per i libri di Prospero Podiani, grande bibliofilo perugino, che realizzò per primo, pur non essendo un porporato o un principe, un’idea cara agli umanisti ma di difficilissima attuazione. La sua vita era leggere e trovare libri. Ne aveva già accumulati settemila spendendo cifre immense (con conseguenti infelicità e liti matrimoniali, e cause interminabili per la dote delle due successive mogli) quando nel 1582 sottoscrisse un accordo col Comune di Perugia: avrebbe donato tutti i suoi libri, almeno settemila, più quelli che nel tempo si fosse procurato. In cambio la città doveva predisporre un palazzo dove ospitarli, e corrispondere a lui uno stipendio come curatore.

Ci aveva già provato Petrarca con la Serenissima, due secoli prima (senza chiedere niente per sé): ma l’accordo era naufragato dopo essere stato sottoscritto, a causa della taccagneria dei governanti veneti. Anche a Perugia si rischiò di non farne nulla: i Priori interpretarono le clausole a modo loro, Podiani si arrabbiò, si accesero frizioni, accuse furono sussurrate a mezza voce, la faccenda andò a rilento. La sede doveva essere pronta in due anni, ma ce ne vollero nove. Alla fine, però, proprio dai documenti studiati da Alessandra Panzanelli risulta che nel 1591, quando lo stesso Podiani era diventato Priore, le collezioni erano sistemate in un’ala nuova del Palazzo Municipale debitamente affrescata e decorata, e che la biblioteca dunque funzionava. Non per tutti: solo per gli «amici» del bibliofilo, che però faceva circolare i libri con munifica generosità, soprattutto fra i colleghi della Accademia degli Insensati. E annotava i prestiti.

All’epoca i buoni volumi costavano cari, e soprattutto non era sempre così facile procurarseli. I rigori della Controriforma ostacolavano la circolazione dei volumi, mettere le mani su un Erasmo poteva essere impresa rischiosa, conquistare una buona edizione di Tito Livio ma stampata nelle eretiche Fiandre era quantomeno pericoloso. Podiani eccelleva nel risolvere proprio questi problemi, grazie alle sue ottime relazioni con tutti. Era amico persino dell’Inquisitore di Perugia che, tutto sommato, lo lasciava fare, visto che per combattere i libri proibiti bisogna pur conoscerli. La biblioteca prosperava, anche se non fu così a lungo. Quando Podiani morì, nel 1615, il clima politico stava velocemente cambiando. E su di lui già circolavano pettegolezzi malevoli: per esempio, che avesse venduto molti libri.

Venne istituita una commissione per il riordino delle collezioni e il recupero dei volumi dati in prestito, o scomparsi. Erano molti. Per rendere le cose più spedite, si ricorse a un’arma assai clericale: chiunque non avesse restituito i volumi trattenuti (a volte da moltissimi anni) sarebbe stato scomunicato seduta stante. A quanto pare, fece effetto. Ma davvero Podiani era stato così disinvolto? Forse sì, conferma Alessandra Panzanelli. Si trattava però di un commercio parallelo, che non danneggiava la Biblioteca. Il grande bibliofilo consigliava, stimolava, aiutava gli studiosi, e non resisteva alla tentazione di esser quello che risolveva i problemi: così trovava, acquistava e rivendeva all’occorrenza i libri «impossibili». Era un cacciatore, eruditissimo e geniale. Non era un eterodosso: la sua vera eresia erano i libri, e la libertà di studiarli.

Resta di lui un’immagine dipinta nella sede del 1623, aperta sotto l’egida di papa Urbano VIII, che aveva cancellato l’autonomia di Perugia e umiliato la città. Tutti i riferimenti al passato, all’idea ancora pre-Riforma del fondatore, erano stati cancellati. Non la sua eredità, che è ora una biblioteca comunale con un tesoro di 400 mila documenti di cui 3400 manoscritti, 1300 incunaboli, 16500 «cinquecentine», come ci spiega il direttore Maurizio Tarantino. Una ricca biblioteca di conservazione, che essendo però anche civica offre in lettura soprattutto nelle sedi distaccate i più svariati testi contemporanei. «Il Comune di Perugia non ce la fa più a sostenere un gioiello come questo – spiega ancora il direttore -. Bisognerà separare la conservazione dalla pubblica lettura, per poterle fare al meglio».

Intanto però i codici miniati del primo francescanesimo convivono allegramente, alla debita distanza, con Dan Brown. E con altre meraviglie, se è per questo. Per esempio, ed è il pezzo di cui il direttore va giustamente più fiero, col manoscritto originale della Costituzione della Repubblica Romana. Quella del ‘48. «Uno dei segretari era di Bevagna. Fuggì e mise in salvo il documento. Rientrato a Perugia, ne fece dono al Comune». Che lo passò con tutti gli onori alla Biblioteca. Alla faccia dei Papi.

 

di MARIO BAUDINO da “La Stampa” del 25.7.12