A circa 18 chilometri da Gubbio, sulla SS 219 s’incontra la frazione di Camporeggiano ai piedi di una piccola altura dal vocabolo di Monte Cavallo in cima alla quale si intravedono i ruderi del castello già dimora feudale della nobile famiglia Gabrielli. Il castello era sorto attorno all’antica torre del VI o VII secolo costruita a guardia della valle che faceva parte del famoso “corridoio bizantino” che univa Roma a Ravenna al tempo dei longobardi. Nel 1057 avvenne una straordinaria donazione che cambiò la situazione della zona che divenne terra di monaci. I tre fratelli Gabrielli, Pietro, Giovanni e Rodolfo, insieme alla madre Rozia, donarono a S. Pier Damiani, Priore di Fonte Avellana e ai suoi successori, dopo aver liberato gli schiavi e i servi della gleba, l’intera proprietà comprendente il castello, i beni e la villa di Camporeggiano. L’unica condizione, la erezione di un monastero in onore dell’Apostolo S. Bartolomeo. Rodolfo e Pietro si ritirarono nel monastero di fonte Avellana. Il fratello Giovanni rimase a Camporeggiano e divenne il priore del monastero di S. Bartolomeo. Non si sa se il monastero venne edificato ex novo o su di una struttura già esistente. Intanto “Rodolfo e Pietro cominciarono a praticare la vita eremitica con una tale severità ed assduità che ben presto si sparse la fama della loro santità. Il loro modo di vivere veramente eccezionale e insolito faceva si che fossero di esempio di vita religiosa ed eremitica per tutti i loro confratelli” (Lettera di S. Pier Damiani ad Alessandro II). Rodolfo poi eccelleva oltre che per santità anche per dottrina tanto che a lui S. Pier Damiani affidava la correzione dei suoi opuscoli con piena fiducia. Avendo il santo dottore l’alta vigilanza sulla diocesi di Gubbio, ne propose Rodolfo come vescovo, benchè non ancora trentenne e, nella lettera citata, ci riferisce che “Rodolfo, pur essendo promosso alla dignità vescovile, non tralasciò di praticare nel governo della Chiesa Eugubina quanto aveva appreso all’eremo. Assiduo nel predicare e nell’ammonire non badava a asacrifici e a disagi. Tutto ciò che gli riusciva di risparmiare sulle spese domestiche lo impiegava completamente nell’alleviare le miserie dei poveri. Radunava ogni anno il Sinodo; non voleva però che in tale occasione i sacerdoti gli portassero le tasse e i contributi a lui dovuti”. Ancor giovane ma stremato dalle fatiche e dalle penitenze moriva nell’anno 1064. “Ero partito da poco da Roma e avevo appena raggiunto le mura di Firenze – scrive il Damiani – quando mi giunse la notizia che cambiò per me la luce del mezzogiorno in oscure tenebre e riempi le mie viscere di amaro fiele: era morto il Vescovo di Gubbio”. Frattanto il monastero di S. Bartolomeo aveva conosciuto un bello sviluppo tanto che papa Alessandro II già nel 1063 lo aveva reso esente da ogni giurisdizione e preso sotto la diretta protezione della Santa Sede a condizione che “a caritate eremi Fontis Avellanae non recedat” La famiglia monastica fu sciolta nel 1417 e il monastero ceduto agli olivetani. Oggi la chiesa è sede della Parrocchia di S. Bartolomeo con trasferimento dalla chiesa di S. Michele Arcangelo in Sioli. A pianta basilicae è costituita da tre navate con presbiterio sopraelevato con scalinata ricostruita e sottostante cripta cui si accede per due scalinate laterali. Sono riferibili all’edificio romanico originario le arcate, i pilastri e la cripta. E’ in progetto la riapertura della navata di destra, da tempo chiusa e utilizzata ad altri usi dai proprietari dell’azienda che occupa la vecchia struttura abbaziale.