La Musica, Foligno, Palazzo Trinci (Scala)

Il cristianesimo dei primi secoli non ha tramandato nessun documento propriamente musicale. Le prime fonti per il canto liturgico sono testimonianze storico-letterarie. San Paolo, in alcuni passi delle epistole, accenna a due elementi rimasti fondamentali della liturgia primitiva: la lettura dei testi sacri in funzione didattica ed esortativa (lectio), tipica della tradizione orientale, e la cantillazione, l’intonazione pubblica dei salmi. Il quarto secolo fu un periodo di intenso rinnovamento della liturgia: con le nuove condizioni di libertà sancite dall’editto di Milano (313) la Chiesa richiamava masse di fedeli nelle grandi basiliche e i rituali liturgici potevano così assumere la forma della cerimonia pubblica. Fu abbandonato l’uso del greco (ne rimane oggi traccia nel Kyrie) per il latino, lingua più accessibile, e furono introdotte e rafforzate pratiche musicali come l’antifona a cori alternati e l’inno, che coinvolgevano direttamente i fedeli nel rispondere alternativamente al canto del celebrante. Nei secoli successivi la monodia strofica si affermò soiprattutto a Milano (sant’Ambrogio), nella Gallia (Venanzio Fortunato), in Spagna (Prudenzio) e in Irlanda. Solo più tardi fu accolta da Roma. Con l’alleanza tra il papato e la monarchia carolingia (siamo ormai nei secoli XI-XII) si pongono le basi per l’unificazione delle liturgie occidentali: ciò avviene per gradi non senza qualche resistenza. In questo ambito svolgono un’importante azione unificatrice i centri monastici di San Gallo, Einsiedeln, Fulda, San Marziale, Montpellier, Cluny e Montecassino.

Il canto gregoriano

Da questo momento è possibile parlare, sia pure impropriamente, di canto gregoriano. O propriamente di canto piano (senza distinzioni di forme regionali diverse, come il canto mozarabico o il canto ambrosiano). Già nei primi secoli il canto liturgico aveva subito influenze ebraiche, greche e bizantine e dall’XI secolo anche i condizionamenti della musica trovadorica e della nascente pratica polifonica. Proprio con l’avvento della polifonia e della musica mensurata, il gregoriano conoscerà un periodo di decadenza, e solo a metà dell’Ottocento i monaci benedettini dell’abbazia di Solesmes inizieranno un lavoro di ripristino dell’integrità originaria. In quel periodo si studiano e si confrontano fra loro i codici più antichi (dei secoli IX e X) e si promuove una più coerente interpretazione delle melodie. Questa lodevole opera di revisione porta la Santa Sede a proporre, a partire dal 1905, una Editio Vaticana delle melodie gregoriane ufficiali, in note quadrate e prive di segni di interpretazione ritmica. Ma torniamo indietro al secolo XII per osservare più da vicino il declino del canto gregoriano e la nascita della polifonia. Polifonia è l’insieme simultaneo di più suoni (nota contro nota, punctum contra punctum, o anche più note contro una sola) organizzati secondo la disciplina e la precisione del ritmo, senza le quali non è possibile determinare con esattezza l’entrata “a tempo” delle voci. Si suole far risalire la nascita della polifonia alla Scuola di Notre-Dame di Parigi. In sintesi si trattava di aggiungere al canto gregoriano (vox principalis) la simultanea presenza di una (vox organalis) o più linee in contrappunto.

Il nuovo inizio con Leoninus

Iniziatore di questa tecnica fu Leoninus (1140), ma il perfezionamento si deve a Magister Perotinus che arrivò a sovrapporre quattro linee. Egli fu attivo nella chiesa parigina fra la fine del XII secolo e il 1220 circa, ed è autore di due importanti organa, cioè composizioni polifoniche: i mottetti Viderunt omnes e Sedurent principes. Da questo momento comincia l’avvento della musica occidentale sia sacra sia profana: contrappunto, armonia, timbro (uso di strumenti) saranno elementi fondamentali della sua natura eterogenea. Ecco, allora, che nel seguire il cammino storico della musica sacra si dovranno prendere in considerazione dapprima la polifonia vocale franco-fiamminga, generalmente cantata senza intervento strumentale, e poi dal Seicento a oggi le grandi composizioni dove il testo liturgico è distribuito e frammentato fra le voci soliste e il coro, con frequenti ripetizioni di frasi cantate e con le aggiunte sempre più decisive delle linee in qualche modo autonome degli strumenti.

La prima messa polifonica

La prima messa interamente polifonica è la cosidetta Messa di Tournati (1320 circa), composta da brani di diversi autori, mentre la Messe de Notre-Dame (1349 circa) di Guillame de Machaut è il primo esempio di musica scritta da un solo autore e concepita come opera unitaria. Impossibile qui tracciare un elenco dei principali autori di messe, mottetti e vespri. Possiamo ricordare a largo giro d’orizzonte i polifonisti inglesi e franco-fiamminghi come John Dunstable e Lionel Power di Canterbury, Johannes Ciconia e Guillaume Dufay (autore nel 1436 del mottetto Nuper rosarum flores per l’inaugurazione della cupola del Brunelleschi in Santa Maria del Fiore a Firenze), e poi Josquin Desprez, Orlando di Lassoi, Giovanni Pierluigi da Palestrina. Basti ricordare per il periodo barocco i nomi sommi di Claudio Monteverdi (Vespro della Beata Vergine, 1610) e Johann Sebastian Bach (Messa in si minore su testo latino, le due Passioni e le oltre duecentoquaranta Cantate in lingua tedesca), e poi ancora i Salmi e il Gloria di Antonio Vivaldi; per il periodo classico le messe di Haydin e di Mozart; per l’Ottocento quelle di Cherubini, Beethoven (Missa solemnis, non propriamente compatibile con la durata del servizio liturgico), Berlioz, Bruckner, Gounod e Verdi (Messa da Requiem); per il Novecento i nomi da ricordare sono quelli di Perosi, Pizzetti, Stravinskij e Janàcek (Messa glagolitica, 1926) che fonde il canto popolare ceco con quello liturgico. Tra gli autori che di recente hanno ritrovato una più autentica dimensione sacrale si possono ricordare Messiaen e Part: il primo con musica di una complessità e visionarietà quasi barocca, il secondo inseguendo un modello di rigore pauperistico di ascendenza medievale.

Tratto da: Luoghi dell’Infinito, mensile, ottobre 2007, n. 111.