Galleria Nazionale dell’Umbria

Il Dossale, attualmente custodito all’interno della Galleria Nazionale dell’Umbria, di forma rettangolare di cm 104 x 176, si sviluppa in orizzontale secondo un modello usuale in area umbra e toscana.

La struttura compositiva lo include nell’area di matrice spoletina, connotata da una “particolare tendenza ad attenuare la separazione tra le scene e a disporre in sequenza continua scene e figure” (Garrison, 1949). Nel dossale di San Felice all’interno dell’omonima abbazia di Giano dell’Umbria ciò è tanto più vero in quanto le vere e proprie scene sono relegate nel registro inferiore, mentre le rimanenti figure concorrono alla rappresentazione del Giudizio Universale, secondo progetto iconografico che trova riscontro, più che nella pittura su tavola, nei cicli murali e nella scultura monumentale di età romanica.

Al centro, entro una mandorla, è raffigurato il Cristo in trono; ai lati, nel registro superiore, Michele e Gabriele come angeli turiferi e due schiere di Apostoli condotti dalla Vergine (a sinistra) e da San Giovanni (a destra); nel registro mediano due schiere di Profeti, cinque per lato. In basso, sotto il trono, appare entro un cerchio l’Agnus Dei circondato dai quattro viventi dell’Apocalisse ( Angelo, Aquila, Toro e Leone) emblemi dei quattro Evangelisti, anch’essi inclusi in cerchi a completare l’immagine della Deesi quale apparizione apocalittica celeste, come si vede anche nel paliotto di un altare appartenuto alla cattedrale spoletina (ora in Sant’Eufemia).

Una serie di mezze figure di angeli, ora in parte perdute, compare sul lato superiore della cornice, sei figure di santi, tre per parte, ornano lateralmente la cornice stessa, che nel lato inferiore ha perduto completamente la decorazione.

Nel registro inferiore sono rappresentate quattro scene del Martirio di San Felice, vescovo dell’anticoVicus Martis (Massa Martana) martirizzato per ordine del prefetto Tarquinio nel 299 sotto l’imperatore Massimiano: San Felice è interrogato e fatto frustare, poi immerso in una caldaia bollente, esposto al fuoco su una grata e infine decapitato dal carnefice Sevibo. La leggenda è nota in quattro redazioni, di cui la più antica (IX secolo) appartiene ad un codice dell’Abbazia di Farfa a conferma del legame tra monachesimo benedettino e culto di questo vescovo martire, sul luogo della cui sepoltura, nei pressi di Giano, dovette aver luogo già tra V e VI secolo un primo insediamento monastico, e successivamente, agli inizi del XIII secolo, l’edificazione della chiesa abbaziale per la quale fu commissionato il dossale. (…)

Il dossale di Giano, con i suoi vivaci contrasti di colori puri e netti, con l’elegante linearismo delle figure allungate e disegnate dalle linee dei contorni e dalle minute lumeggiature che definiscono anatomie e panneggi, è opera di un “esponente per niente inferiore della generazione a cui appartengono Simeone e Machilone o Rainaldo, e anche lo stesso Maestro di San Francesco”. Si tratta di un artista di prima qualità, erede della grande tradizione del secolo precedente, tanto dei cicli musivi della Sicilia, quanto dei dipinti murali di Sant’Angelo in Formis e di Rongolise, tanto dell’aulica tradizione “greca” espressa a Grottaferrata, quanto nelle esperienze maturate tra Roma, Tivoli e Anagni, esperto forse di miniatura, capace di trarre ispirazione anche dalla scultura monumentale, intento forse a guardare ciò che il territorio offriva alla sua diretta esperienza, dalla croce di Alberto “Sotio”, agli affreschi dipinti a Spoleto dallo stesso e da altri sui muri della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, al mosaico che splendeva sulla facciata della cattedrale di Santa Maria Assunta, compiuto da Solsterno nel 1207.

Attualmente il dossale è custodito presso la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia.


Tratto da: Galleria Nazionale dell’Umbria, Dipinti Sculture e Ceramiche: studi e restauri; 1994, Ed.Arnaud