Esiguità e grandezze del “tópos” Montone   di Giovanna Sapori

Tratto da:  La Deposizione Lignea in Europa

Il gruppo di Montone appartiene al ristretto numero di esemplari sopravvissuti dei gruppi di Deposizione italiani, cioè a una sezione tematica sulla scultura lignea, oggi molto rarefatta, del XIII secolo. Tra questi esemplari si colloca per le sue qualità in un posto di rilievo.
(…) mi sembra utile mettere in risalto, innanzitutto il fatto che il gruppo si identifica con la più antica testimonianza figurativa e nello stesso tempo con una delle emergenze, se non l’apice, del patrimonio artistico di Montone, un microluogo, isolato in un vasto territorio, fra PerugiaGubbio e Città di Castello.

La conoscenza della prima identità di questo microluogo, oggi così nitidamente definita, può contare sulla connessione di pochi, isolati documenti documentari. È infatti soltanto dopo la metà dell’XI secolo che l’insediamento compare nei documenti come dotato di una “forma”, cioè come castello; e se in questo stesso anno (1063) è accertato, sia pur soltanto in ragioni di possedimenti, il legame di Montone con i benedettini di Fonte Avellana, bisogna arrivare agli inizi del XII secolo per le prime menzioni della pieve, che dipende direttamente da vescovo di Città di Castello.

Intitolata a San Gregorio, la chiesa sorge non lontano dall’abitato e ad essa era connesso almeno, dagli inizi del secolo successivo, un ospizio, destinato ad accogliere prima i pellegrini poi lebbrosi e appestati.

Dalla pieve di San Gregorio proviene il gruppo di deposizione, che vi è documentato dal 1539 e in relazione ad una confraternita, una collocazione che è verosimile possa essere quella d’origine – altri Deposti erano o sono ancora conservati in antiche pievi -, ma credo che non sia da trascurare a questo punto la suggestiva evidenza della presenza benedettina a Montone e nel territorio, tenendo conto della origine benedettina di un buon numero di gruppo di Deposizione (Gubbio, Roncione, Cingoli, Tolentino, Recanati, Bulzi, Montevergine e probabilmente anche Iesi, Roccatamburo e Scala).

Abbazie capisaldi o derivate (fonte Avellana, Camporeggiano, Vallingegno, Montecorona, San Pietro di Gubbio, San Cassiano, Petroia, ecc.), monasteri, pievi, chiese dipendenti, possedimenti fondiari, soprattutto avvellaniti e camaldonesi, in minor misura vallombrosani sono densamente distribuiti nell’area altotiberina e in quella eugubina. Di questa irradiazione il polo dominante fra XII XIII secolo è l’abbazia di Fonte Avvellana, nella diocesi di Gubbio, che raggiunse allora l’apice della sua espansione fra l’Umbria, MarcheRomagna e Abruzzo. Le sue proprietà a Montone crescono almeno fino alla fine del XII ed è così che i monaci avvellaniti dell’Abbazia di Camporeggiano costruiscono dopo il 1170 la prima chiesa, Santa Croce, all’interno del Castello, cui si affianca l’edificio del priorato. Nel corso del secolo successivo la presenza dei benedettini, da cui dipendono almeno sette chiese si rafforza e si radica nella vita di Montone.

Si può ricordare infatti, che il priore di Santa Croce insieme al rettore della pieve, è testimone insieme all’atto di sottomissione a Città di Castello nel 1227, stipulato nella piazza antistante la chiesa, o che di Montone era Sant’Albertino, priore (1265-90)  di Fonte Avellana.

Nel Duecento, il castrum, già feudo dei marchesi del Colle, è oggetto di incessanti contese fra Città di Castello e Perugia, di cui rappresenta dal 1216 con alterne vicende e definitivamente dal 1279,  la punta più settentrionale di dominio, incuneato tra i territori di Gubbio e di Città di Castello.

Il duopolio politico (Perugia) e religioso (Città di Castello) cui sottoposta la riottosa comunità, ancora troppo piccola per organizzarsi in Comune, sembra riflettersi anche nella vita della pieve, nelle controversie sulla nomina dei rettori e sulle decime.

Ora nella scarna ricostruzione documentaria della storia di Montone fra XII XIII secolo, da cui pure potrebbe derivare qualche indizio, il gruppo di deposizione si introduce con tutto il suo complesso, stimolante portata. I problemi, le ipotesi, le riflessioni che suscita per quanto riguarda la collocazione geografica e culturale della bottega (altotiberina, pisana o…) in cui fu prodotta ; la committenza e i suoi canali di comunicazione con l’artista; il rapporto tra l’esiguità del luogo e l’importanza dell’opera; l’intreccio tra l’identità dell’oggetto di culto e la sua teatralizzazione, che anche qui, come confermerebbe la lauda studiata da Baldelli, doveva esser praticata nelle celebrazioni del Venerdì santo, apre un concreto spiraglio sulla vita culturale e religiosa  di Montone, proiettando il piccolo Castello e i suoi borghi in uno scenario molto più ampio e sinora imprevisto.

La costruzione ai primi del trecento del nuovo e più grande insediamento dei Francescani, prima ubicato fuori dall’abitato, e la sua decorazione ad affresco corrispondono ad un periodo di relativa stabilità economica e di incremento demografico ( circa novecento abitanti, più della metà di quelli attuali) almeno fin oltre al metà del secolo.

Ma il momento in cui memoria e investimento simbolico si fondono in un progetto in cui si addensano forti caratteri della identità del luogo coincide con la vicenda del famoso condottiero Braccio Fortebracci, la cui famiglia esercitava già da tempo a Montone il potere in nome di Perugia.

Braccio da Montone: con lui, Signore della guerra, audace politico, il toponimo acquista risonanza in tutta Italia.
Divenuto nel 1414 conte di Montone, Braccio crea in breve tempo un dominio interregionale che ad un certo punto comprende parte dell’Umbria, compresa Perugia, delle Marche dell’Abruzzo, e il principato di Capua. L’attività artistica da lui promossa si ispira a quella delle corti frequentate presso i Varano a Camerino, i Trinci a Foligno, gli Este a Ferrara. Montone diviene uno dei luoghi del suo progetto, sede di una delle sue residenze. L’architetto di Braccio è il bolognese Fioravante de’ Fioravanti, i suoi pittori, fra cui primeggia il ferrarese Antonio Alberti, lavorano anche per la residenza di Montone e per San Francesco, la chiesa della famiglia.

Ai suoi discendenti e ai  francescani è legata un’altra fase della storia artistica di Montone, un nuovo arricchimento del suo piccolo patrimonio: il fulgente gonfalone di Caporali, la pala di Berto di Giovanni divisa  tra  Buckingham Palace e Urbino, quella di Signorelli – dipinta per il suo medico, un francese residente a Montone – oggi nella National Gallery a Londra.


In questi ultimi anni abbiamo lavorato ad un nuovo progetto per Montone.
Nel 1996 è stato inaugurato, nell’ambito del piano dei musei della Regione Umbria, il Nuovo museo Comunale di San Francesco della cui realizzazione, e del relativo catalogo sono stata curatrice. Fra gli interventi di restauro che furono allora programmati apparve subito prioritario quello, rivelatosi molto più impegnativo del previsto, relativo al gruppo ligneo duecentesco (1994-99).

Le novità, le importanti acquisizioni emerse nel corso del restauro, di cui parleranno Bruno Toscano e Bruno Bruni, ci convinsero delle opportunità di dare a quei risultati un più largo seguito attraverso l’organizzazione di un convegno sui Problemi e significati dei gruppi lignei di Deposizione, cui fu affiancata una rassegna, la prima del genere in Italia, dedicata agli Antichi gruppi lignei di Deposizione. Puntare per queste iniziative su Montone, escluso dai circuiti ordinari, ignoto alla crestomazia dei luoghi d’arte in Umbria, è stata una scelta controcorrente nel quadro di una generale concentrazione di attenzione sui centri più grandi. La sua realizzazione, che ha richiesto un impegno straordinario del comune con il sostegno della Regione, dimostra che si può partire da una piccola raccolta pubblica per affrontare argomenti e problemi di interesse generale.