Intervista al Dott. Ing. Giovanni Cangi 
 

Ci sono dati storici certi da cui Lei è partito?

I riferimenti storici sui mulini idraulici della Valle del Carpina e più in generale del territorio altotiberino sono costituiti dal numero considerevole di questi manufatti.

La migliore ricerca è quella sul campo; dal rilievo, dall’esame dei materiali utilizzati per la loro costruzione, dallo studio della macchina idraulica e dal confronto si possono trarre dati utili alla comprensione degli aspetti tecnologici e socio-economici che ne hanno determinato la diffusione nel territorio.

 

Che tipo di strutture erano quelle che esistevano nella valle del Carpina?

La tipologia di questi mulini non è specifica della valle del Carpina. In tutta l’Italia centrale, lungo i corsi d’acqua a regime torrentizio, si trovano mulini idraulici con queste caratteristiche, da ricondurre alla tradizione dei mulini a ruota orizzontale (o a ritrecine) e dei sistemi di irrigazione arabi, diffusa nel bacino del mediterraneo già alla fine del primo millennio.
Nel nord Africa, in Sicilia e in Spagna si trovano mulini con queste caratteristiche, mentre i mulini romani sfruttavano soprattutto la forza animale (Erano i cosiddetti “Mulini a sangue”).
La turbina a ruota orizzontale, per quanto diffusa, è per molti sconosciuta, forse perchè più nascosta, quindi prevale l’immagine classica del mulino a ruota verticale, complice la pubblicità, che però non si addice proprio alla nostra realtà.
Su questo aspetto sottolineo l’importanza che potrebbero avere le scuole nella riscoperta di questo ricco patrimonio culturale legato alle nostre tradizioni.

 

 Ci sono ancora delle “tracce” oltre a quella di Morena?

Sono andato alla ricerca di questi manufatti risalendo la valle del Carpina e solo in parte quella del Carpinella, prendendo spunto dalle cartografie IGM dove sono riportate indicazioni molto precise. Una ricerca sviluppata con il contributo del CAI-Sezione di Città di Castello, della Pro-loco di Montone e di altri appassionati, che ha permesso di individuare almeno dieci siti nella sola valle del carpina, in gran parte abbandonati, se non addirittura cancellati nei pochi casi in cui si è intervenuti con devastanti opere di “ristrutturazione”. A riguardo fornisco un elenco, solo per dare qualche indicazione più precisa:

Presso Montone:

– Mulino di Sopra

– Mulino di Sotto

Risalendo il torrente Carpina:

– Mulino del Colle

– Mulino della Casella

– Mulino di Caigisti

– Mulino di Col di Pinzo

– Mulino di Cainardi

– Mulino Corsi (Fonteroccoli)

– Molinacio (Molino delle Valcelle)

– Molino Maccheroni

– Molino della Mandrelle.

Lungo il Carpinella da sottolineare il Molino delle Carpini e tutti gli altri mulini verso Pieralunga.
Il merito di questa ricerca, se posso permettermi, non sta nell’individuazione dei mulini, quanto nell’aver evidenziato il ruolo che questi manufatti hanno assunto fin dal medioevo come poli di aggregazione socio-economica per lo sviluppo del territorio. Il mulino, infatti, non è mai una struttura isolata, ma è a servizio di una comunità. In genere è collocato lungo il torrente a fianco della strada; nelle vicinanze si trova la chiesa e più in alto, in posizione dominante, il sito di un’antica fortificazione.
Un sistema strutturato che comprende la chiesa, la fortificazione e il mulino, come elementi essenziali, serviti da una viabilità adeguata, che hanno dato origine ad una tipologia d’insediamento diffusa nella valle del Carpina e in altre aree locali. Per questo allargherò la visuale sull’Altotevere, presentando uno studio sulle caratteristiche tecnologiche di questi mulini svolto con gli allievi del Corso Geometri del’ Istituto “Salviani” di Città di Castello nell’ambito del progetto “Architettura e territorio”.