“Assurdo e libidinoso”. Quattro secoli di buio da parte della Chiesa per cavalli, alfieri e re.


Il gioco fu dichiarato lecito dal cattolicesimo solo nel 1600 con un’opera di San Francesco Sales, vescovo di Ginevra. La condanna di Pier Damiani e la riabilitazione con i Medici.
Anche se il gioco degli scacchi in una forma molto simile all’attuale risale a circa mille e cinquecento anni fa, è solo da quattro secoli che è stato dichiarato lecito dalla Chiesa. Il merito, se così possiamo definirlo, è di San Francesco di Sales, allora vescovo di Ginevra, che nella sua “Introduzione alla vita devota”, scritta ad Annecy nel 1608, nel capitolo intitolato “ Passatempi e divertimenti e anzitutto quelli leciti e lodevoli”, scrive: “ A scacchi bisogna solo guardarsi dall’eccedere, perché se vi si impegna troppo tempo non è più sollievo, ma occupazione; non si solleva né lo spirito né il corpo, ma anzi si stancano e si svigoriscono entrambi. Uno che abbia giocato per cinque o sei ore agli scacchi nel levarsi è totalmente abbattuto e spossato di spirito”. Grazie a queste affermazioni nel 1609, quindi esattamente 400 anni fa, la Chiesa abrogò la “condanna” agli scacchi, che durava da quasi sei secoli.

La Condanna

Artefice della condanna era stato San Pier Damiani, il santo anacoreta che Dante ha messo nel suo Paradiso, allora cardinale di Ostia. In una lettera, la decima nella raccolta delle “Epistole”, nell’ottobre del 1601 scrisse a papa Alessandro II (Anselmo da Baggio, 1061-1073) di aver punito un vescovo fiorentino che a causa degli scacchi aveva totalmente trascurato i propri doveri religiosi, definendo il gioco degli scacchi “disonesto, assurdo e libidinoso” e chiedendone la messa al bando. Per rafforzare la richiesta lo abbinò ai dadi; del resto spesso a quei tempi in Italia si giocava decidendo il pezzo da muovere tirando i dadi, a prescindere dalla logica della posizione, sia per velocizzare la partita, sia per favorire le scommesse. E poiché i giochi con i dadi e d’azzardo in genere erano vietati dalla Chiesa, ecco scattare il divieto anche per gli scacchi. La condanna venne però superata da molti nobili con l’ufficializzazione della netta differenza tra il gioco degli scacchi e quello dei dadi. Quanto al popolo, che pure continuò a giocare, non se ne fece troppo cruccio, anche perché i popolani avevano ben altri problemi materiali per preoccuparsi di torri e regine.

Gli eccessi

Per capire a quali eccessi sia arrivata la condanna degli scacchi, basti pensare ad alcune testimonianze storiche del Quattrocento relative ai ben noti “ bruciamenti di vanità”.  La domenica del 23 settembre 1425, per esempio, San Bernardino tenne a Perugia una predica tanto violenta contro le vanità che “li homini mandaro dadi, carte, tavolieri, scacchi e simili cose” e il tutto fu poi bruciato in piazza. E a Siena nel 1426 ancora San Bernardino in una predica affermò che uno dei suoi frati, Matteo da Cecilia, aveva bruciato “duemila settecento scachieri in uno dì a Barzelona, che v’erano di molti che erano d’avorio”. E ancora nel 1496 e 1497 fu Girolamo Savonarola a far mettere al rogo anche gli scacchi in due famosi “bruciamenti di vanità” a Firenze in piazza dei Signori. Un testimone scrisse che venne eretta una specie di piramide alta trenta cubiti e che nel rogo c’erano “non piccole quantità di scacchieri e simili altri strumenti di Satana”.
Ma fu proprio a Firenze che si ebbe la prima scintilla per la riabilitazione del gioco, grazie alla dinastia dei Medici, e in particolare grazie ad un figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni. Nato nel 1475 e fin da giovane grande appassionato di scacchi, Giovanni dè Medici continuò ad essere un importante mecenate per i giocatori dell’epoca anche quando nel 1513 divenne papa con il nome di Leone X. Negli otto anni del suo pontificato, Leone X protesse il gioco e ne favorì la diffusione, anche nell’ambito delle strutture ecclesiali. La sua passione fu tale da essere segnalata perfino nell’opera “Storia dei Papi” del Pastor. E in un volume della fine del 1500 si trova poi questa citazione: “ Papa Leone era solito abbandonare la partita quando era inferiore; ciò mostra la sua abilità, poiché egli vedeva molto tempo prima ciò che doveva accadere; e quando si accorgeva che la sua situazione era disperata, si confessava vinto”.

Santa Teresa d’Avila patrona degli scacchisti

Fu certamente grazie all’influsso di Leone X che Santa Teresa d’Avila parlò positivamente degli scacchi nella sua opera “Il cammino alla perfezione”, scritta tra il 1564 e il 1566, aprendo la via alla definitiva opera di San Francesco di Sales. Da notare che il 14 ottobre 1944 il vescovo di Madrid ha proclamato Santa Teresa di Avila patrona degli scacchisti.

Adolivio Capece   “l’Unità”  24 agosto 2009


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GLI SCACCHI DI LUCA PACIOLI

D. D’Elia, D. Contin, A. Bartoli Langeli, E. Mattesini, A. Sanvito
2007
pp. 280, ill. 299
EURO 115,00