La vita del Beato Raniero da Fasano, un personaggio storico dai tratti incerti.

Del fondatore della Confraternita dei Battuti, si hanno solamente poche, sporadiche e spesso imprecise informazioni, a cominciare dall’incertezza sul nome proprio. Le scarse fonti disponibili, per lo più tarde (XVI secolo), ne riportano almeno due versioni: «Raynerius» e «Raiinerio».
Proveniente dalla media borghesia perugina, ancora ragazzino rimase certamente molto turbato dalla predicazione e dal modello di vita che San Francesco d’Assisi, vissuto poco prima di lui, aveva divulgato. Prese la decisione di passare alcuni anni da penitente, e si rinchiuse in una stanza della sua abitazione trasformata in cella. In seguito pronunciò i voti di terziario francescano, rinunciando completamente al bel mondo e si diede alla vita eremitica fino al 1258, sull’esempio dell’anacoreta San Bevignate, vissuto nel V secolo d.C. Secondo la leggenda popolare, il Santo sarebbe apparso a Raniero mentre era in preghiera e gli avrebbe indicato una duplice missione: predicare il Vangelo e diffondere la Disciplina. Questa pratica consisteva nell’autoflagellazione, allo scopo di espiare i propri peccati partecipando alla sofferenza di Cristo crocifisso. Non sentendosi ancora pronto, Raniero rimase ancora a lungo ritirato in preghiera, cominciando però a fustigarsi.
Secondo La lezenda di fra’ Raniero Fasani, scritta verso la fine del XIV secolo, durante la sua vita eremitica il Beato avrebbe avuto la visione della Madonna in trionfo, con le lacrime agli occhi. Preso da inquietudine prese allora a battersi più forte di quanto avesse fatto fino a quel momento e decise di recarsi alla chiesa di San Fiorenzo. Sulla strada incontrò alcuni Santi che lo accompagnarono fino all’Altare; lì si inginocchiarono, cominciando a battersi. La Vergine riapparve allora tra gli Arcangeli Michele e Gabriele e consegnò a Raniero una missiva celeste, dicendogli che avrebbe dovuto portarla, al Vescovo di Perugia dopo averla letta. In questa lettera la Madonna avrebbe sottolineato il bisogno estremo di redenzione nella vita dei cristiani, che avevano perso lo spirito di carità e di obbedienza al Vangelo. La Vergine suggeriva come mezzi per l’espiazione dei peccati, la preghiera, il digiuno, l’astinenza e la partecipazione alla sofferenza di Cristo Crocifisso tramite la Disciplina.
L’incontro che cambiò la vita
Questo incontro ultraterreno diede nuovo impulso alla vita penitenziale e spirituale di Raniero. Egli prese a predicare dapprima nelle campagne perugine e poi nelle città, la necessità della conversione, della carità verso il prossimo e della espiazione dei propri peccati tramite atti pubblici penitenziali. Per commuovere gli ascoltatori, il Beato ricorreva spesso al racconto della Passione di Cristo, figura di riferimento da imitare, “Uomo dei Dolori” alle cui sofferenze occorreva avvicinarsi tramite la pratica della flagellazione.
Così parla di Raniero un anonimo storico del tempo: «[…] vestito di sacco, cinto di fune, con una disciplina in mano cominciò per le piazze, con la predicazione e con l’esempio con tanto fervore a muovere il popolo a disciplinarsi […]».
La forza delle convinzioni del terziario francescano fu palese quando riuscì a convincere il vescovo di Perugia Bernardo Corio, sulla effettività dell’ispirazione Divina all’origine della sua missione. Narra la Lezenda che, convintosi, il Vescovo disse Messa e, subito dopo, lesse la lettera al popolo lì riunito e subito in molti avrebbero preso a battersi, per l’assoluzione dei propri peccati. Tutta la cittadinanza si sarebbe così convertita alle parole di Raniero.
Iniziarono così grandi processioni guidate da Raniero i cui partecipanti si facevano chiamare Flagellanti. Stando alla Lezenda, il Potestà di Perugia Orlandino Marescotti, avrebbe chiesto a Raniero di recarsi a Bologna, per portare anche laggiù la sua salvifica parola. Il fervore del frate fu più coinvolgente di quello di tutti gli altri predicatori precedenti e trascinò buona parte della popolazione, che si lasciò guidare da lui fino alla città felsinea. In realtà, più probabilmente l’esaltazione religiosa provocata dalla divulgazione della disciplina penitenziale stava diventando pericolosa per l’equilibrio sociale cittadino e la faccenda fu risolta dal Consiglio del Podestà con la proposta di un pellegrinaggio in Romagna ai primi di ottobre. Un allontanamento dunque che nella Lezenda fu trasformato in un moto spontaneo di divulgazione; da essa, infatti, risulta che dopo un lungo cammino segnato dal digiuno e dalla predicazione attraverso la Toscana e la Romagna, circondato da una moltitudine di penitenti, Raniero arrivò a Bologna il 10 ottobre del 1260.
Arrivato che fu cominciò ad ammaestrare le folle cittadine, trovando nella popolazione bolognese un attivo recettore di novità. La spinta riformista dell’ex-eremita fu tale che, in pochi mesi, costituì la Compagnia de’ Divoti, di cui sembra facessero parte più di ventimila persone. Secondo molti storici invece, sarebbero stati i discepoli del Beato ad espandere la Disciplina utilizzando la nomea di Raniero per autogiustificare il proprio operato. D’altra parte le notizie sul terziario francescano a Perugia si interrompono dal 1261 al 1266, un silenzio che potrebbe avvallare e avvalorare l’ipotesi della sua presenza in quegli anni in altre città dell’Italia centro – meridionale. Quali esse furono, purtroppo, non è dato sapere.

L’approvazione delle gerarchie

Seguendo il filo della Lezenda, Raniero si sarebbe adoperato pazientemente per ottenere l’approvazione del suo operato da parte delle gerarchie ecclesiastiche bolognesi. Il placet arrivò il 15 febbraio 1261 con l’indulgenza concessa da papa Alessandro IV.
Successivamente il movimento prese forza e la Legenda narra che Raniero stabilì che l’assistenza ai poveri, ai malati e ai carcerati fosse doveroso per i devoti, perché in linea con i dettami evangelici: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.». La Lezenda narra che, con la sola imposizione delle mani, guarì molte persone in modo miracoloso.
Il doversi occupare dei bisognosi creò la necessità di avere un luogo in cui accoglierli, curarli e nutrirli nonostante la povertà di risorse. Grazie alla donazione di una casa e di un po’ di terra nel centro cittadino da parte della ricca e pia Donna Dolce, nacque l’Ospedale della Vita.
Date le regole basilari della Compagnia, che furono presto approvate dagli statuti comunali, il Beato Raniero lasciò Bologna per tornare a Perugia, delegando il ruolo di guida ad un suo devoto discepolo, colui che in seguito verrà conosciuto come il Beato Bonaparte Ghisilieri.
Tornato alla sua città natale prese moglie ed ebbe alcune figlie e si stabilì a Fontenuovo, dove istituì un piccolo ospedale e un ricovero per bisognosi. Ben presto fu però sollecitato a chiudere la sua attività dall’autorità religiosa, che temeva azioni di disturbo dalla folla di disperati che si accalcava nel ricovero.
La morte del Beato avvenne probabilmente tra il novembre del 1281 e il marzo del 1283.
Articolo realizzato da Maria Martelli