IL MULINO AD ACQUA

Invenzione antica, il mulino ad acqua é tuttavia medioevale dal punto di vista della diffusione. Tutte le testimonianze indicano il I secolo a.C. come periodo e l’area dell’Oriente mediterraneo come culla dell’invenzione di questa macchina.
L’architetto romano Vitruvio nel suo tratto De Architectura descrisse il mulino idraulico senza però precisare le condizioni che avevano determinato il passaggio di questa tecnologia dai Greci ai Latini.
Ma la grande disponibilità di energia muscolare – infatti alla movimentazione delle pesanti macine a clessidra erano addetti non solo animali, ma soprattutto schiavi, cittadini poveri e delinquenti condannati a questa pena – ritardò la diffusione del mulino ad acqua, che avvenne solo in età carolingia tra XIII e IX secolo.

UNA RIVOLUZIONE TECNICA MEDIEVALE

Il mulino di grano medioevale era un complesso costituito da diversi elementi – un edificio, una macchina, un insieme di uomini, una struttura economica – concorrenti alla realizzazione di un prodotto finale.
Lo sviluppo e la diffusione del mulino idraulico a partire dall’ XI secolo furono intimamente legati al sistema economico dell’Europa occidentale, mentre sul piano tecnico, in realtà, non vennero introdotte innovazioni significative rispetto agli impianti utilizzati in età greca e romana. Altri furono i fattori che, intrecciandosi, ne favorirono l’espansione:

• cambiamenti nell’agricoltura: importazione e coltivazione di nuove specie di grano, che per la loro trasformazione in farina richiedevano l’uso della macina invece del pastello della pila;

• il ruolo svolto dagli ordini monastici (cistercensi in particolare), che condussero una vera politica di meccanizzazione nei monasteri istituiti in tutta Europa;

• i progressi della metallurgia;

• la prima urbanizzazione dell’XI secolo e lo sfruttamento dell’acqua a tutti i livelli (energia, igiene, trasporti, …);

• motivazione finanziarie: la costruzione di un mulino richiedeva un investimento iniziale oneroso, ma redditizio nel tempo;

• le variazioni climatiche alla fine del XII secolo (innalzamento della temperatura), che aumentarono sensibilmente la redditività agricola.

Ovviamente questa espansione non fu omogenea in tutti i territori europei, come pure la tipologia degli impianti – a ruota verticale o a ruota orizzontale – che corrispondeva a differenti organizzazioni economiche e sociali.

MULINO DA GRANO A RUOTA ORIZZONTALE

Questo tipo di mulino aveva piccole macine che compivano un’intera rotazione ad ogni giro della ruota idraulica. Per il suo funzionamento aveva quindi bisogno di piccoli volumi d’acqua a corrente rapida, caratteristici delle zone montane o di alta collina.
Il basso rendimento della ruota idraulica orizzontale (e quindi dell’impianto) lo rendeva inadatto alla produzione commerciale della farina, ma si prestava benissimo alla macinazione dei cereali destinati al consumo delle famiglie contadine, tanto che divenne specifico di una società agricola legata all’autoconsumo.

LA RUOTA IDRAULICA ORIZZONTALE

La ruota orizzontale (propriamente detta ritrecine) era costituita da un palo centrale nella cui parte inferiore, più grossa, erano scolpiti degli incassi, disposti radialmente e destinati ad alloggiare per incastro le pale di legno (generalmente ricurve a cucchiaio) che danno forma alla ruota.
La parte inferiore del palo terminava con un perno in ferro che poggiava su una trave orizzontale.
La parte più alta del palo centrale (albero della ruota) attraversava la macina inferiore ed era fissata per mezzo di una nottola in ferro alla macina superiore girante.
Questo meccanismo era messo in movimento dall’acqua che, prelevava da un fiume o torrente, attraverso uno sbarramento veniva deviata in un canale; da qui l’acqua precipitava in una condotta inclinata (doccia) che indirizzava l’acqua a colpire tangenzialmente le pale della ruota.

MULINO DA GRANO A RUOTA VERTICALE

Le ruote verticali a pale piane utilizzavano prevalentemente corsi d’acqua di pianura in cui il flusso ha una ridotta velocità, che deve essere aumentata per permettere alle macine di operare nelle condizioni ottimali.
L’ingranaggio ruota dentata / lanterna – variante dell’accoppiata di due ruote dentate – presente nei mulini idraulici e a vento fino all’introduzione delle ruote dentate in ghisa all’inizio del secolo XIX, risale all’epoca romana.
Il suo principio, molto semplice, consiste nel dotare due ruote, con assi perpendicolari tra loro, di denti in legno duro aventi forma cilindrica disposti in modo che ingranino l’una con l’altra.
Il mulino descritto da Vitruvio era già dotato di questo ingranaggio, ma in età medievale la lanterna venne completata con l’aggiunta di un secondo disco che ne aumentava la resistenza.

Questo ingranaggio non soltanto trasmetteva il moto e ne modificava la direzione: assolveva anche alla funzione di moltiplicare i giri della macina mobile rispetto alla ruota idraulica.
Infatti il numero di giri della macina dipende dal rapporto tra il numero dei denti dei due ingranaggi.

LA RUOTA IDRAULICA VERTICALE

Il procedimento per la costruzione di questo tipo di ruota era il seguente: all’albero centrale venivano fissate delle robuste assi in legno che formano i raggi della ruota ed erano destinati a portare all’estremità pezzi in legno che ne costituivano la circonferenza.
Su di essa venivano poi disposte a raggiera e fissate delle tavole (pale) sulle quali doveva andare a sbattere l’acqua.
Il vantaggioso funzionamento di questa ruota richiedeva che il flusso dell’acqua fosse costante e ben diretto, per questo era installata prevalentemente in prossimità del corso d’acqua naturale su un canale scavato artificialmente nel terreno (gora) e rivestimento in legno o in muratura; inoltre venivano realizzati dislivelli e sbarramenti (paratoie) per variare la velocità dell’acqua e per arrestarne il corso.
Il costo di impianto e di manutenzione faceva si che questo sistema azionasse un mulino di dimensioni medio/grandi per produzioni destinate a comunità più o meno vaste.

Le ruote verticali a pale piane utilizzano prevalentemente corsi d’acqua di pianura in cui il flusso abbondante ha però ridotta velocità, che deve essere aumentata per permettere di operare nelle condizioni ottimali.
L’accoppiata lubecchio (ruota dentata)/ lanterna non serve soltanto a trasmettere il motore a modificare la direzione: ha anche la funzione di moltiplicare i giri della lanterna rispetto alla ruota idraulica.

(…) Le generazioni che ci hanno immediatamente preceduto e la nostra hanno assistito, nel campo dei trasporti, a questa prodigiosa rivoluzione: la trazione animale ha ceduto il suo posto a forme di energia puramente inorganiche. (…) E l’essere vivente la cui forza si trovava così ad essere risparmiata era l’uomo, oltre che la bestia. E, infine , si trattava del primo passo. Né ci si sarebbe fermati a quel punto fino ad arrivare alla caldaia a vapore. La ruota fornita di pale poteva infatti trasmettere, senza considerevoli modificazioni, il suo movimento a macchine ben diverse dalla macina per il grano.
Frantoi per olive, mulini per conciare altro non erano, in verità, che semplici applicazioni del principio della pietra frantumatrice.
Ma ben presto l’influsso dell’invenzione si fece intendere assai più lontano. (…)
E le prime gualchiere (*) delle quali i testi ci abbiano conservato memoria, facevano risuonare, già nell’ XI sec., del loro rumore le valli (…).
Il mantice d’officina ed il maglio sembrano essere apparsi, sul corso dei fiumi, assai più tardi.
Poi fu la volta di nuove applicazioni moltiplicate quasi all’infinito:tanto che, nei sec. XII e XIII, le prime manifatture, quelle le cui macchine erano azionate dalla forza idraulica attraverso la mediazione di ruote analoghe (…) non erano in realtà che dei discendenti dell’antico mulino: in Inghilterra anzi esse ne portarono a lungo il nome. (…)
(…) siamo assuefatti allo spettacolo quotidiano di un mondo troppo sapientemente meccanizzato: dalla ruota verticale alla mola collocata per necessità orizzontalmente, il movimento trasmesso dall’una all’altra doveva cambiare di piano.
La soluzione fu data da un gioco di ingranaggi: principio destinato a un avvenire immenso e del quale il mulino fornì pertanto uno dei primissimi modelli.

(*) gualchiere: macchine per lo più mosse da acqua che servono a dare maggiore consistenza a un tessuto, comprimendolo tra magli.

Da: “Lavoro e tecnica nel Medioevo” di Marc Bloch, Editori Laterza, 1996; pag. 80-83

L’OBBLIGO DI MOLITURA

Fra i diversi monopoli che caratterizzano la signoria di banno (l’esercizio di bandire), vigeva una regola ineludibile: solo al padrone del castello spettava istallare dei mulini per la macina dei cereali.
Le cronache medievali ci raccontano in più d’una circostanza delle vere e proprie lotte ingaggiate dai signori, laici o ecclesiastici che fossero, per costringere le comunità sottoposte a non macinare il grano a mano con le mole domestiche, e a servirsi obbligatoriamente del mulino bannale (*), che era a pagamento.
Il signore doveva infatti ammortizzare i costi dell’impianto, mentre le famiglie, già tanto subissate di tasse, volevano risparmiare almeno sulla molitura che potevano fare in casa.
I contrasti dovettero essere estremamente aspri e anche piuttosto frequenti.
(…) In una piccola città di Londra, dell’Hertfordshire, alla quale i monaci, suoi signori, rifiutavano ostinatamente ogni franchigia, l’esempio delle borghesie vicine incoraggiava una “plebe” – per parlare come il cronista del monastero – particolarmente “indomabile”.
Artigiana piuttosto che rurale, non era soltanto alla banalità dei mulini per i grani e per il malto e alle esazioni dei loro mugnai che essa cercava di sottrarsi mediante la triturazione a domicilio.

Anche i fabbricanti di drappi, a dispetto della gualchiera signorile, pretendevano installare nelle loro case dei cilindri per pressare le stoffe.
Ciò almeno per le più grossolane. (…)
Nel 1326, quando i borghesi reclamano una carta in cui, tra l’altro, fosse iscritto il diritto alla molitura domestica, scoppia la rivolta aperta e, per due volte, si ha un assedio del monastero. L’accordo, sopraggiunto infine sotto la pressione del re, lasciava insoluto il problema della banalità. (…)
Ma nel 1331 un nuovo abate – Riccardo II, il terribile abate lebbroso – entra in lotta. A colpi di processi, egli esce trionfatore.
Le macine vengono portate nel monastero da tutta la città e di esse, come di altrettanti trofei, i religiosi lastricano il loro parlatorio.

Ma ecco venire, nel 1381, l’insurrezione delle comunità inglesi. Assaliti anch’essi dalla febbre generale, gli uomini di Saint-Alban danno l’assalto al monastero.
Distruggono la celebre pavimentazione, monumento della passata onta, e , siccome certamente le pietre non erano più in grado di macinare, le spezzano e, in segno di vittoria e solidarietà, se ne dividono i frammenti ” come si fa, la domenica, per il pane benedetto “. (…)

(*) Bannale: Diritto del signore feudale a costringere i suoi sottoposti ad usare cosa solo di sua proprietà come mulini, frantoi, forni alle condizioni da lui fissate.

Da: “Lavoro e tecnica nel Medioevo” di Marc Bloch, Editori Laterza, 1996; pag. 103-105.