Intervista a Giuliano Briganti
di Linda De Sanctis

Professore, ci spiega perché Piero della Francesca non ha mai avuto la fama e gli onori che sono spettati a Michelangelo e a Raffaello?
«E’ semplice: perché il vero valore di Piero è stato scoperto soltanto agli inizi di questo secolo, grazie a Roberto Longhi che in un saggio del 1927 scrisse parole definitive sulla sua opera. Naturalmente sulla sua scia si lanciarono legioni di critici ed artisti e Piero divenne improvvisamente l’idolo della modernità. Oggi poi è considerato la più pura essenza dello spirito formale italiano».

Lei ci sta dicendo che Piero è stato vittima di una svista durata quattro secoli?
«Diciamo piuttosto di una disattenzione che si spiega col fatto che l’artista ha svolto la sua attività prevalentemente lontano da Firenze, e come lei ben sa Firenze in pieno Quattrocento, grazie soprattutto al mecenatismo dei Medici, era il centro più attivo e più avanzato dell’arte italiana e per tutto il secolo oscurò la fama di ogni altra città della penisola. A Firenze Piero c’era stato, ma giovanissimo, forse nemmeno ventenne, come apprendista di Domenico Veneziano. Il suo nome figura infatti in un documento del 1439, come aiuto di Domenico per gli affreschi di Sant’Egidio, che poi sono andati distrutti. È probabile che Piero abbia lasciato Firenze ancora giovanissimo; sta di fatto che dopo la sua partenza nessuno in città parlò mai di lui e di quanto andava facendo».

Generalmente la fama degli artisti cresce dopo la loro morte…
«Non per Piero. Perché qualcuno riconosca la sua grandezza artistica bisognerà aspettare verso la metà del Cinquecento, Giorgio Vasari. Vasari era nato ad Arezzo, praticamente a un passo da Sansepolcro, città natale di Piero. E nella chiesa di San Francesco proprio ad Arezzo Vasari aveva potuto vedere e apprezzare La leggenda della Vera Croce, l’opera maggiore di Piero. Comunque dopo Vasari, su Piero ripiombò l’oblio».

Eppure la sua grandezza era evidente, non c’era possibilità di fraintendimenti, o no?
«Ma scherziamo. Piero portò una vera rivoluzione nel campo della prospettiva: nessuno prima di lui si era sognato di esplorare nuove strade, visto che la prospettiva lineare matematica brunelleschiana veniva considerata la scoperta del secolo. Invece Piero lo fece, e riuscì partendo dalle premesse del primo Quattrocento fiorentino, ad andare più in là e a creare una nuova dimensione spaziale con un uso calibrato della forma, del colore e della luce».

Non capisco bene…
«E’ semplice, Piero libera le sue figure dalla linea del contorno e dal chiaroscuro».

E allora?
«Allora la prospettiva e la plasti­cità delle figure viene resa non più con il disegno, ma attraverso il colore e la luce; insomma non c’è più uno spazio determinato e disegnato a priori, ma sono le sue figure e gli oggetti che lo creano grazie a questo nuovo intarsio. Capisce che innovazione?».

Credo di sì…
«La sua è una concezione modernissima: pensi che Cézanne, nel secolo scorso, avrà un’idea dello spazio non diversissima. Ma poi c’è anche un altro elemento che fa di Piero un innovatore rispetto a quanto si faceva nella prima metà del Quattrocento seguendo gli insegnamenti del Brunnelleschi e del Masaccio sulla prospettiva. Piero aggiunge un’interpretazione straordinariamente poetica. Nel suo mondo è soprattutto l’uomo ad essere testimone e custode delle leggi che regolano lo spazio».

Insomma Piero fu quasi ignorato dalla critica, ma avrà pur influenzato le generazioni successive…
«Non solo, è stato un anello di congiunzione fondamentale fra la pittura italiana e quella dell’Europa del Nord. Mi spiego meglio: il suo particolare sentimento della luce crea una saldatura tra l’arte fiamminga e quella dei nostro umanesimo. Questa unità di visione è all’origine di una civiltà luministica e prospettica che dalla Toscana s diffonderà a molte rive del Mediterraneo, dalla Provenza alla Spagna dal Mezzogiorno d’Italia a Venezia»

BIBLIOGRAFIA

Roberto Longhi: Piero della Francesca. Edizioni Sansoni e Laterza.
Eugenio Battisti: Piero della Francesa. Due Volumi dell’istituto Editoriale di Milano.
Carlo Ginzburg: Indagini su Piero. Einaudi.
Ornar Calabrese (a cura di): Piero teorico dell’arte. Roma ’85.
AA.VV. Un progetto per Piero della Francesca. Firenze ’89.
A Paolucci: Piero della Francesca. Firenze ’89.
K. Clark: Piero dalla Francesca. Venezia 1970.
B. Berenson: I pittori italiani dei Rinascimento. Firenze ’54.
B. Berenson: Piero della Francesca or the Ineloquent art. Londra ’54.
Carlo Bertelli: Piero della France­sca – La forza divina della pittura. Silvana Editoriale. Milano.

Tratto da “Il Venerdì” di Repubblica
8 novembre 1991 n. 194/195