Un’intervista con Jacques Le Goff dà un nuovo significato all ’espressione «parlare come un libro stampato». Sulla scrivania sommersa da un quadruplo strato di libri e di carte, il computer non c’è. La macchina per scrivere, nemmeno. «Mai usati. Ho sempre scritto a mano. Adesso, però, non ci riesco più». E allora come fa? «Detto. Viene qualche studente, oppure l’editore mi manda qualcuno». Forse è il segreto del suo francese netto, scandito, cartesiano, con le frasi che si susseguono senza mai un’incertezza o una ripetizione.


Il medievista ottimo massimo ha 88 anni, è vedovo, solo, non esce più di casa e dentro si muove appoggiato a un girello. Le gambe lo tradiscono. Il cervello, no. Dal ‘56, da Mercanti e banchieri nel Medioevo, passando per saggi diventati classici come La nascita del Purgatorio o la monumentale biografia di San Luigi, Le Goff continua a raccontare il Medioevo in modo tale che sembra di viverci. E, in ogni caso, verrebbe voglia di farlo. L’ultimo libro è appena stato pubblicato da Perrin: A la recherche du temps sacré, «Alla ricerca del tempo sacro», sottotitolo Jacques de Voragine et la Légende dorée, «Jacopo da Varazze e la Leggenda aurea», cioè la più celebre raccolta di vite di santi dell’epoca e non solo di quella: «La Leggenda aurea è uno dei libri più importanti del Medioevo. Me ne sono interessato da molto tempo e non ho mai smesso di pensarci. Ma disponevo solo di traduzioni francesi del Diciannovesimo secolo o dell’inizio del Ventesimo. Nel 2004 è stato finalmente pubblicato il testo originario in latino. Jacopo da Varazze era un domenicano, prima a capo della provincia della Lombardia e poi vescovo e cronachista di Genova».

Il suo libro fu il bestseller del Medioevo: «Soltanto per la Bibbia esiste un numero maggiore di manoscritti. E, cosa interessante e rara per l’epoca, la Leggenda ebbe molte traduzioni nelle lingue volgari. Jacopo era al centro di tutto quel che c’era di più interessante nel suo tempo. Intanto stava a Genova, che nella seconda metà del XIII secolo era il centro economico più importante d’Europa. Poi era un domenicano, quindi un esponente del movimento religioso, ma anche intellettuale, più nuovo e dinamico. Inoltre, ha beneficiato di alcune novità importanti della cultura medievale: per esempio, la lettura silenziosa. Fino al XIII secolo, la lettura si faceva a voce alta, e non solo nei conventi. La lettura silenziosa si diffonde insieme alla cultura laica e chiaramente significa anche una lettura più facile e più frequente. Infine, Jacopo aveva certamente anche un talento letterario: le sue vite sono piene di racconti e di aneddoti». Ma se fosse finalmente inventata la macchina del tempo e gli potesse parlare, cosa gli chiederebbe? «Credo che per prima cosa gli esprimerei, molto umilmente, la mia ammirazione».

L’appartamento, nel Diciannovesimo arrondissement di Parigi, è moderno e abbastanza anonimo. La stanza dove Le Goff passa le sue giornate insieme alle sue pipe e ai libri, i suoi e quelli degli altri, è piccola, silenziosa, un po’ buia: un invito alla concentrazione. Su uno scaffale, uno stemma di Solidarnosc: Bronislaw Geremek era un suo grande amico.

Professor Le Goff, perché ha scelto la storia?
«Mi ha sedotto da sempre. Però l’importante è capire quale storia. A me piace la storia che ti vedi passare davanti agli occhi. Negli Anni Trenta vivevo a Tolone con i miei genitori. Mi accorsi che per le strade si vedevano sempre più automobili e nelle case sempre più telefoni e frigoriferi. Noi eravamo una famiglia della piccola borghesia, mio padre era professore d’inglese, e non avevamo né automobile né telefono né frigorifero. C’era la ghiacciaia, e sento ancora il venditore ambulante di ghiaccio urlare per strada: “La glace! La glace!”. E allora mi facevano scendere per comprarlo. Ma questo non è importante. L’importante, per me, è stato capire molto presto che l’avvento del frigorifero e la scomparsa della ghiacciaia era un avvenimento storico, perché cambiava la vita quotidiana, la vita delle persone, molto più delle guerre e dei Re. Per me, la storia è sempre stata storia sociale».

D’accordo: ma perché il Medioevo?
«Oh, anche questo l’ho deciso molto presto, avrò avuto dodici anni, e per due ragioni molto precise. La prima, perché in quel periodo lessi Ivanhoe di Walter Scott, che mi entusiasmò. E poi perché a scuola c’era un professore bravissimo, il migliore che abbia mai avuto, e quell’anno il programma di Storia era incentrato appunto sul Medioevo».

Insomma, la vocazione di uno dei maggiori storici del Novecento la dobbiamo a un frigorifero e a Ivanhoe. L’ha più riletto?
«Certo! Walter Scott l’ho letto tutto e Ivanhoe, l’ultima volta, qualche anno fa. E’ un bellissimo libro, che parla di storia sociale, del rapporto fra cristiani ed ebrei e in più è scritto benissimo, perché Scott aveva un grandissimo talento. Anche se l’ho capito davvero solo quando l’ho letto in inglese».

Poi, certo, di libri ne sono seguiti molti.
«Testi che mi hanno formato? Certamente I re taumaturghi di Marc Bloch, per il quale ho anche scritto una prefazione cui tengo molto, nell’edizione ripubblicata da Gallimard. Ed ero molto vicino ai grandi medievisti italiani, per esempio Arsenio Frugoni, autore della bellissima biografia di Arnaldo da Brescia».

Di andare in pensione, ovviamente, non si parla.
«Per la verità, ho pensato, come autore, di ritirarmi. Però continuano a chiedermi libri, sarebbe un peccato non scriverli…».

Scriverli, al plurale?
«In cantiere ne ho due. Il primo è in realtà una raccolta di articoli, soprattutto di prefazioni. E’ un genere che ho sempre coltivato perché trovo che sia importante per gli storici giovani. Una prefazione generica, modello “comprate questo libro, è buono” non serve a niente. Credo che una prefazione analitica e magari anche critica, invece, aiuti il libro e anche chi l’ha scritto».

E l’altro?
«L’altro è in realtà un’opera collettiva che sto dirigendo, un centinaio di brevi biografie di personaggi importanti del Medioevo. Compresa una quindicina di personaggi immaginari, perché per la storia l’immaginazione è importantissima. Dunque, o figure leggendarie, come Merlino o la fata Melusina, oppure figure realmente esistite ma poi mitizzate e diventate altro. Come Artù o Dracula».

Le Goff si interessa al conte Dracula?
«Sì, proprio quel Dracula. In realtà era un principe della Valacchia, nell’attuale Romania, si chiamava Vlad III e nel suo XIV secolo era famoso come l’Impalatore, perché aveva una predilezione per questo supplizio. Poi con il tempo il personaggio leggendario ha preso il sopravvento su quello storico, ha cambiato, diciamo così?, metodo criminale ed è diventato un vampiro. Fino a diventare una star del cinema, a partire da quello muto. Generando tutto un filone letterario e anche cinematografico che comprende personaggi come Frankenstein».

A questo punto è inutile chiederle se abbia rimpianti…
«No. Anzi sì: forse non sono contento proprio di tutto quello che ho scritto. Però se ci sono dei soggetti che non ho trattato è perché ho avuto delle buone ragioni. Per esempio, il riso nel Medioevo. Ho scritto degli articoli, ma il tema era decisamente troppo ampio. Ma sono rimasto colpito dalla quantità di risate che si incontra nella Leggenda aurea. E un mio allievo che è diventato il massimo esperto della Scolastica mi segnala che sul riso esistono dei testi quasi sconosciuti di Tommaso d’Aquino e di Alberto Magno. Quindi magari il terzo libro sarà quel saggio sul riso nel Medioevo che finora non ho mai potuto scrivere…».

Lei è sempre stato un intellettuale europeo.
«In Europa ho anche studiato, grazie a delle borse di studio. Prima a Praga, una città meravigliosa ma triste. Poi a Oxford: la Biblioteca Bodleiana è straordinaria, però il modo di comportarsi degli inglesi non mi è mai piaciuto. Dell’Inghilterra amo solo Londra. E poi naturalmente ho lavorato anche in Italia. Ci passai un anno prima di sposarmi e fu forse uno dei più belli della mia vita. La Scuola francese mi metteva a disposizione una camera su piazza Navona: che splendore. E che rumore: la sera la gente conversava in strada fino a tardi, poi all’alba arrivavano i netturbini, quindi le notti erano brevissime. Ma che incanto, quella piazza…».

Ultima domanda: di recente Nicolas Sarkozy ha usato ancora una volta l’aggettivo «medievale» nel senso di retrivo e oscurantista. Professor Le Goff, ha forse insegnato invano?
«Per me monsieur Sarkozy è di un’intollerabile volgarità sia come uomo che come politico. Basti pensare alla sua politica disgustosa verso i giovani che vengono a studiare in Francia. Non mi stupisco che usi gli aggettivi in maniera sbagliata: a parte tutto, non ha nemmeno una buona conoscenza della lingua francese».

Alberto Mattioli

(fonte: Tuttolibri, sabato 28 gennaio 2012)