“O vita penosa, continua battaglia”
 

Jacopo de’ Benedetti
nacque a Todi da una famiglia in vista tra il 1230 e il 1236. Dopo aver compiuto gli studi in diritto, probabilmente all’università di Bologna, esercitò per qualche tempo la professione di procuratore legale. Nel 1267 sposò Vanna di Bernardino di Guidone dei conti di Collemezzo.
Non molto tempo dopo le nozze la moglie morì in circostanze tragiche: nel corso di una festa il crollo di un pavimento travolse gli invitati e tra loro Vanna, che vi restò uccisa.
Si dice che Jacopone, accorso a soccorrere la moglie moribonda, trovò che portava il cilicio sotto le vesti. L’improvvisa scoperta, che forse gettava una luce nuova su una donna che fino a quel momento aveva dato l’impressione di condurre una vita  normale sotto ogni aspetto e – comunque – l’evento traumatico di quella morte, mutarono radicalmente la vita di Jacopo de’Benedetti. Era il 1268.
Distaccatosi all’improvviso e in modo totale da tutto ciò che aveva costituito la sua vita fino ad allora cominciò a condurre vita di penitente o “bizzoccone”, come si diceva. Si è diffusa la tradizione e esagerata di suoi gesti bizzarri, di voluta e ostentata pazzia, di una ricerca di disprezzo e di scherno, che presenta tratti quasi patologici.

Quegli anni erano l’età d’oro della prima fiorirtura delle laude, che si erano diffuse proprio a partire dall’Umbria, dopo il moto dei Flagellanti iniziato nel 1260, e sembra che Jacopone cominciasse a scrivere alcune laude già in questa fase. Nel 1278 – dopo dieci anni da penitente – chiese di entrare nell’Ordine francescano.  Sempre determinato a non ricercare nessuna forma di onore personale, non volle essere ordinato sacerdote e restò frate laico. Negli anni seguenti  si dedicò anche allo studio della teologia, in particolare quella di san Bonavenutra, di cui in molte laude si sente chiaramente l’influsso.


Nella scissione che già da decenni si era determinata in seno
all’Ordine francescano sul tema della povertà, che contrapponeva ai Conventuali (che, accettando di buon grado le mitigazioni concesse dai papi alla Regola di San Francesco, sostenevano che non il singolo frate ma la comunità aveva il diritto di possedere dei beni) gli Spirituali (sostenitori invece della povertà assoluta e della radicalità della Regola) Jacopone, con il suo carattere risoluto e intransigente, si schierò risolutamente con questi ultimi e si mostrò sempre irriducibile oppositore di tutta la linea politica della curia romana.
Nel 1294 l’elezione papale dell’eremita Pietro del Morrone, (che assunse il nome di Celestino V) suscitò grandi speranze fra gli Spirituali. Ma Jacopone pur stimando Pietro del Morrone nutriva forti dubbi sulle sue doti di papa, e mantenne una posizione molto cauta – se non proprio scettica – evidente nell’epistola in forma di lauda che scrisse al neoeletto pontefice, una lettera (che comincia con le parole Che farai, Pier da Morrone? Se”venuto al paragone) sembra più di condoglianze che di congratulazioni.
Celestino difese e protesse i francescani spirituali, ma dopo pochi mesi di pontificato fu spinto dagli intrighi della curia romana a dimettersi; il suo successore Bonifacio VIII riprese le persecuzioni degli spirituali e colpì tutti i sostenitori di Celestino.
Jacopone attaccò il nuovo papa con la violenta requisitoria di un’altra lauda e fu  poi tra i sottoscrittori del proclama di Lunghezza, una specie di “lettera aperta” con cui i cardinali Colonna dichiaravano l’elezione di Bonifacio simoniaca e nulla e si appellavano a un concilio contro di lui; tra le firme in calce del documento c’è quella di Iacobus de Tuderte.
La risposta del papa fu di estrema e prevedibile durezza;  scomunicò i Colonna e  poi strinse d’assedio la loro roccaforte di Palestrina, dove si trovava anche Jacopone. Fu una vera e propria guerra e dopo aver resistito un anno e mezzo la rocca cade e la vendetta di Bonifacio fu spietata.
Jacopone fu espulso dall’Ordine scomunicato  e condannato al carcere perpetuo; fu rinchiuso nei sotterranei del convento francescano di San Fortunato a Todi. Abituato ad ogni sorta di sofferenze e privazioni, inizialmente accettò la prigionia, che gli appariva più come una prova che come una punizione, con una specie di soddisfatta baldanza, che si riflette nella lauda scritta in carcere, all’inizio della prigionia.
   
Ma con il passare dei mesi – in un’assoluta solitudine – cominciò a crollare nello spirito. In preda al timore di morire in stato di scomunica e di essere dannato, diresse al papa due epistole in versi, a distanza di tempo l’una dall’altra in cui chiedeva solo di venire assolto dalla scomunica, e per il resto dispostissimo a subire il carcere e tutte le pene
temporali. Non ottenne alcun risultato. Era l’anno 1300, il primo grande  giubileo cristiano, e per esplicita volontà del Papa i Colonna e i loro sostenitori furono esclusi da ogni indulgenza.
Solo dopo la morte di Bonifacio VIII, sul finire del 1303, il suo successore Benedetto XI revocò la scomunica e fece liberare dal carcere il vecchio spirituale; Jacopone si ritIrò così presso il monastero di clarisse di San Lorenzo in Collazzone, fra Todi e Perugia. Qui morì tre anni più tardi, la notte di Natale del 1306.