Perugia, fuori della Porta San Pietro, lungo la strada che scende verso Foligno, si può vedere la chiesa dedicata a San Costanzo, che risale all’epoca romanica. In quella chiesa, e non nella cattedrale, furono venerate le reliquie di San Costanzo, Patrono, con Sant’Ercolano, della città umbra.

Sulla metà del II secolo, Costanzo era un giovane cristiano che già emergeva nella recente ecclesia perugina per il suo zelo e per la sua generosità verso i poveri, unita ad una grande severità verso se stesso. Venne perciò eletto Vescovo molto giovane, quando aveva appena trent’anni. Era però già prudente, saggio nell’apostolato, maturo nella carità, saldo nelI’autorità, e si dimostrò un Vescovo provvidenziale, specialmente negli anni difficili della persecuzione di Marc’Aurelio.

Neanche l’lmperatore saggio e filosofo, infatti, aveva abrogato o mitigato le disposizioni dei suoi predecessori. A norma di queste, chi veniva accusato come cristiano, doveva essere processato, e se era trovato colpevole, cioè se confermava la propria fede rifiutando di sacrificare, doveva essere condannato alla pena capitale.
Non si sa chi denunziò l’attivo e benefico Vescovo di Perugia. Probabilmente, come in molti altri casi, qualcuno sperò di metter le mani sulle ricchezze della Chiesa, avute in consegna dai fedeli e destinate ai poveri. Forse proprio per questo, per strappargli cioè vantaggiose informazioni,
il Vescovo Costanzo venne torturato a lungo e crudelmente, insieme con diversi altri compagni di fede. Non mancano le leggende sulla sua Passione, dato che gli studiosi han rintracciato ben quattro distinte vite del Martire, a testimoniarne la popolarità e la suggestione tra i fedeli. E non è escluso che queste leggende abbiano qualche fondamento di verità.
Egli, per esempio, sarebbe stato rinchiuso nel calidarium delle Terme romane, dove i cittadini rispettabili e raffinati facevano il bagno di vapore. Quella volta però il calidarium venne scaldato alla temperatura di un forno, ma San Costanzo uscì incolume dal bagno mortale.

Ebbe la grazia di convertire i suoi guardiani, e poté scappare una prima volta. Chiamato di nuovo in giudizio, venne condannato a camminare sui carboni ardenti. Ma né questo né altri supplizi ebbero potere su di lui. Liberato miracolosamente e arrestato una terza volta ebbe finalmente la testa tagliata con la spada, verso l’anno 178.

Così cadde il primo Patrono di Perugia, uomo virtuoso, cittadino probo, cristiano generoso, Vescovo soccorrevole. Cadde per insegnare al suo popolo, e anche ai persecutori, la vera fede e la legge del Signore, non imposta con la violenza ma attuata con l’amore.

Tratto da:(Piero Bargellini, Mille Santi del giorno, Vallecchi editore, 1977)


IL CULTO DI SAN COSTANZO

La sua figura riposa su una tradizione abbastanza seria e tale perciò da ritenere che sia stato il protovescovo di Perugia. Il suo martirio si verificò certamente al tempo delle persecuzioni dei primi secoli. Le diverse passioni (o racconti della sua morte), lo collocano al tempo dell’imperatore Antonio. Sarebbe stato martirizzato a Foligno, in un luogo chiamato il trivio, tra la città e l’attuale stazione, dove venne eretta anche una chiesa demolita nel 1527 e la cui zona era chiamata campagna di San Costanzo.
Quindi sarebbe stato portato a Perugia e sepolto fuori Porta San Pietro, in un luogo chiamato i monticelli dove venne eretta l’attuale chiesa di San Costanzo, consacrata nel 1205. Nel 1310, ma forse prima ancora, venne istitutita la processione della luminaria, una delle quattro previste e regolamentate dallo Statuto del 1342: quella della “vegelia de la biatissima vergene Maria del mese d’agosto e ella vegelia del biato Hercolano” e quella “del biato Domenico del mese d’agosto”. Proprio in questi anni ci fu un rilancio della festa e della devozione a San Costanzo, promosso dal capo priore Paolo Andrea, il quale riaffermò l’obbligo “che nella festa del glorioso S.Costanzo si dovesse andare […] in processione il giorno della vigilia alla chiesa del Santo fuori di Porta S.Pietro”; mentre nel giorno della festa si dovessero liberare dieci carcerati. Nel 1615, il vescovo Napoleone Comitoli, a causa delle ostilità tra Filippo di Spagna e Carlo Emanuele, al fine di implorare la pace, ottenne il privilegio delle sette chiese alla cui visita era annessa l’indulgenza, a guisa delle sette basiliche di Roma. Tra queste figuravano le chiese di San Costanzo, Sant’Angelo di Porta Sant’Angelo, San Lorenzo, Santa Maria Nuova, San Francesco, San Girolamo, Santa Giuliana.
Nei secoli succesivi, i due eventi che meritano di essere richiamati furono sicuramente quelli del 1781 e del 1825. Nel febbraio del 1781, il priore di San Costanzo, don Francesco Galassi, promosse la solenne ricognizione delle ossa del Santo. Era il martedì 6 febbraio, ottavario della festa. Si decise di agire di notte. La sera si cominciò a demolire l’altare, formato da una grande urna dentro la quale vennero trovate altre urne. La notte dell’8 febbraio, alla presenza del vescovo, dell’abate di San Pietro, del cancelliere episcopale, del professore di medicina Annibale Mariotti e del professore di chirurgia Benedetto Massini si venne alla formale estrazione delle ossa contenute nelle urne, fino alla identificazione di quella che racchiudeva le reliquie di San Costanzo: alcune ossa e un’ampolla con del sangue. Alcune reliquie vennero lasciate nella chiesa, dentro la grande arca, mentre, altre vennero raccolte in una cassetta di legno per essere esposte alla pubblica devozione, debitamente chiusa e sigillata.
Il 3 febbraio 1782 la stessa cassetta venne riaperta, per estrarre una porzione di osso e un frammento di ampolla tinta di sangue; le due reliquie furono quindi collocate in un reliquario d’argento e donate alla chiesa cattedrale. Ma gli eventi politici di fine e inizio secolo, rinviarono la traslazione che potè aver luogo soltanto nel 1825.
Le celebrazioni furono a dir poco grandiose. Vennero istituiti comitati che avrebbero dovuto presiedere alla organizzazione della festa in tutti i suoi particolari: addobbo della chiesa cattedrale, regolamento delle musiche, apparato dei cinque altari da erigersi lungo le vie dove sarebbe passata la processione, ornamento delle vie, allestimento della macchina per i fuochi d’artificio. Alle ore otto del 25 aprile scattò l’organizzazione per concludersi il 5 maggio. Il giorno fissato, domenica 1° maggio, alle ore quindici e trenta la processione si mosse. Precedevano un numero considerevole di fanciulli, rappresentanti l’arcangelo San Michele e i nove cori degli angeli. Seguivano gli alunni dell’Orfanotrofio di Sant’Anna, alcune compagnie delle parrocchie rurali, il coro della banda strumentale, le confraternite e le compagnie laiche della città, il clero; quindi i colleghi del seminario, i canonici, il vescovo e finalmente l’urna sorretta dai vescovi intervenuti, accompagnati da abati e dalle autorità pubbliche. E intanto nell’esultanza generale, la folla devota innalzava al cielo i suoi canti: “A tutte l’ore sia lodato / El martir biato Sancto Costanzo / En cielo staje encoronato / Tanto tu foste amoroso / Priega Cripsto Salvatore / Per noje miser peccatore”.
Ma intanto “a congiungere la pietà col diletto, gli atti di religione cogl’innocui piacevoli trattenimenti e a rendere più brillante la solennità che porge lusinghiero invito agli stranieri di accorrere alla nostra Città, le autorità pubbliche […] deliberarono che nelle sere festive si dessero gli spettacoli di vaga illuminazione a due ordini di faci dalla chiesa di S.Lorenzo fino a quella di S.Pietro unitamente a quella di tutte le abitazioni della città, e nei giorni indicati di tre corse di cavalli con il fantino (per cui fu eretto un amplissimo anfiteatro a cinque ordini di palchi nella piazza del Mercato); di una macchina di fuochi artificiali nella piazza del Duomo; di altre pirotecniche rappresentanze e di alcune giostre di buoi nel Circo; oltre un’Adunanza poetico-letteraria dei Pastori Arcadi della Colonia Augusta nella sala del pubblico Consiglio la sera del 6 maggio ed oltre uno spettacolo di un’opera seria in musica nel Civico Teatro eseguita da professori di somma riputazione”.

Tratto da:(“La Fontana Maggiore di Perugia – Voci e suggestioni di una comunità medievale”
di Francesco Cavallucci.)