In convento, ma aperte al mondo

Vita contemplativa e preghiera comunitaria si coniugano con la presenza nel convento di persone che vogliono condividere per un pò di tempo l’esperienza monastica.

di Michela Dini

Collepino è un paese medioevale situato sulle pendici del Subasio a pochi chilometri da Spello;  proseguendo la via, poco distante, immersa nel verde e nel silenzio, c’è la chiesa romanica di San Silvestro, oggi inagibile per i danni subiti dall’ultimo terremoto, ma che conserva tutto il suo fascino.
Questo luogo è stato scelto nel 1972 da madre Maria Teresa dell’Eucarestia per edificare l’Eremo della Trasfigurazione, dove risiede la comunità delle Piccole Sorelle di Maria da lei fondata.
Ad accoglierci c’è una suora che ci introduce all’interno dell’eremo con modi molto ospitali. Un’ospitalità non casuale ma inscritta nello stesso carisma dell’ordine. Infatti, se volessimo compendiare in una frase ciò che caratterizza la piccola comunità le parole da usare potrebbero essere quelle pronunciate da Suor Eliana: «La nostra è una comunità contemplativa che si apre alla partecipazione».
Qui sta il segreto dell’esperienza vissuta dalle Piccole Sorelle, un’esperienza che, rispetto ai tradizionali modi di vita contemplativa, presenta alcuni tratti nuovi che la caratterizzano.

UN RITORNO ALL’ESSENZIALE

«Ciò che lo Spirito Santo ha ispirato a madre Teresa», ci spiega la sorella, «è stata l’idea di aprire, di cercare una vicinanza fra il monastero e coloro che vivono nel mondo. Cammin facendo ha poi intuito che, per praticare ciò, bisognava tornare all’essenziale della vita monastica. Per questo la nostra connotazione è quella di una vita contemplativa con i suoi elementi basilari, che sono la preghiera e la vita comunitaria; e in più il tentativo di avvicinare un simile tipo di vita al mondo anziché fuggirlo. Il modello fondamentale non poteva che essere Maria, la quale ha vissuto la contemplazione inserita in un contesto di vita normale».
Alla domanda su cosa significhi tutto ciò nella vita “pratica”, Suor Eliana, con la pacatezza che la contraddistingue, ci risponde che la loro è una vita monastica a tutti gli effetti, scandita dalla preghiera, con in più la caratteristica dell’inserimento”. «Questo significa che per un certo periodo dell’anno (da maggio a settembre) che vuole può venire nel monastero a condividere la nostra esperienza. Chi viene vive nelle stesse condizioni nostre per qualche giorno. All’ospite viene assegnata una cella e durante il giorno condivide con noi la liturgia delle ore. Alle sei c’è l’Ufficio delle letture, poi un’ora di meditazione e preghiera personale, le lodi, la colazione in silenzio, e un pò di lavoro di manutenzione. Alle 11.30 c’è l’ora media, alle 12.15 il pranzo. Il pomeriggio è tutto dedicato alla preghiera e silenzio: alle 17.30 S. Messa e Vespri quando c’è il sacerdote, altrimenti Vespri con insieme la Liturgia della Parola e la Comunione Eucaristica. Alle 19 la cena e alle 20.30 Compieta. Si parla a pranzo e a cena e questo diventa un momento molto importante perché gli ospiti si conoscono e condividono le loro esperienze con noi e anche fra di loro».

A CONTATTO CON LA VITA CONTEMPLATIVA

«Il nostro tentativo è quello di immettere gli altri, molto semplicemente, a contatto con la nostra vita contemplativa, proprio attraverso i mezzi della vita contemplativa: la preghiera, il silenzio e l’ascolto. Chi viene qui deve impegnarsi molto personalmente. Ha comunque la comunità che lo sostiene, e se richiesto, una Sorella che lo aiuta. Il giovedì notte c’è l’adorazione e il venerdì è la giornata dedicata al silenzio totale. Ci rendiamo conto che quella del silenzio è una prova difficile, ma è importante perché le persone scoprano il valore positivo del silenzio e della solitudine. Realtà, queste, da cui spesso si fugge. Crediamo che solo facendo l’esperienza spirituale della solitudine ci si può rendere conto di quanto sia importante per il cammino di fede. Ne è grande prova l’atteggiamento di Gesù, che spesso si ritirava in solitudine per pregare».

Ascoltando queste parole, la domanda che è sorta spontanea riguarda proprio gli ospiti. Chi sono? Da dove provengono le persone che decidono di provare questa esperienza?

UN MONASTERO APERTO A TUTTI

Suor Eliana tiene a precisare che il monastero è aperto a tutti, credenti e non. E aggiunge che la maggior parte delle presenze non sono della zona: «Forse qui siamo poco conosciute, non emerge chiaramente il nostro aspetto vocazionale. Probabilmente l’Umbria, dove prevale il francescanesimo, non è l’ambiente più adatto perché la nostra comunità possa estendersi e anche essere compresa. Ritengo che il nostro sia un carisma adatto all’evangelizzazione. Un’evangelizzazione che parte da una tradizionale proposta di vita contemplativa, ma che si adatta ai tempi e si adatta al dialogo con un mondo non credente. Alcuni dei nostri ospiti vengono dal nord Europa in particolare dall’Olanda. Prevalentemente essi appartengono alle chiese protestanti. Vengono persone anche dalla cattolicissima Malta».
In questo momento non ci sono ospiti ed è per noi difficile riuscire a immaginare queste presenze, magari di giovani provenienti proprio dall’Olanda, la patria del “tutto è permesso”, aggirarsi silenziose in questi luoghi dove le suore, ci spiega suor Eliana, non propongono l’ascolto ma si predispongono ad ascoltare.

IL RISPETTO DELLA SPONTANEITA’

«Dobbiamo avere uno spirito molto discreto altrimenti la nostra diventa un’attività. Tutto deve essere spontaneo, anche i momenti di dialogo che avvengono durante i pasti. Questa spontaneità è molto bella perché permette di creare delle relazioni vere. Il cammino di queste persone è spontaneo; nessuno le obbliga a pregare. Si uniscono a noi nella preghiera solo quando lo desiderano».

Come reagiscono gli ospiti di fronte a una proposta di vita contemplativa?
«Il ritmo di una giornata scandita dalla completa Liturgia delle ore, in genere viene vissuta come una grande scoperta spirituale (non intellettuale ma di vita, di esperienza). Non dimentichiamo che chi viene qui ha bisogno di ripartire dalla fede. Talvolta ci troviamo di fronte a persone con crisi familiari (spesso separazione), crisi esistenziali, spirituali. E spesso è difficile educare alla fede in parrocchia. E invece all’Eremo tutto è predisposto per favorire l’incontro personale con il Signore, nella verità interiore, alla luce della Parola».
Ma le suore come vivono la presenza degli ospiti? Cosa comporta per la loro vita? «Questa apertura è per noi una grande ricchezza. La possibilità di coinvolgere gli altri, ma anche di essere coinvolte nelle loro esperienze, ci fa crescere nella convinzione e ci arricchisce enormemente. Però dobbiamo camminare dentro a questo duplice percorso non facile (la dimensione contemplativa che richiede distacco, solitudine e quella della condivisione) perché l’apertura, porta con sé la necessità di salvaguardarsi. Essa, infatti, può essere anche occasione di distrazione. Anche per questo il monastero alterna momenti di apertura con momenti di clausura».
«A conclusione possiamo dire che viviamo la nostra esperienza all’Eremo come realizzazione della nostra vocazione, che comprende sia la dedizione totale a Dio nella vita consacrata sia la sollecitudine spirituale verso chi si sente povero nello spirito e quindi aperto alla ricerca di Dio».

tratto da: L’altrapagina – num.12 Dic 2002 – www.altrapagina.it