Nella seconda metà del XIII secolo fu fondata, a Costacciaro, la chiesa di San Francesco, compresa nella Custodia Eugubina con i conventi Francescani di Gualdo Tadino, Nocera Umbra, Caprignone.
Il tempo cristiano, forse già officiato da qualche decennio, fu consacrato il primo maggio del 1315 e dedicato a San Francesco d’Assisi. La chiesa venne retta, assieme al convento, sin dal 1282, da una famiglia di Frati Minori (Conventuali ); tuttavia, i lineamenti romanico- gotici della sua facciata e del chiostro, di recente riscoperto, farebbe pensare all’esistenza di una fondazione monastica, forse benedettina, precedente all’insediamento dei Frati Francescani.
Stando a quanto già emerso dagli studi eruditi Padri Francescani di Gubbio (Bigoni e Rosati), infatti, la primitiva chiesa benedettina doveva essere intitolata a San Pietro.
L’originaria chiesa ad aula, cioè a navata unica, con probabile copertura a volta a botte, o sestiacuta, fu ampliata, tra XVII e XVIII secolo, con la costruzione delle due navate laterali odierne.
Pregevolissima la facciata romanico-gotica del tempio, innalzata in pietra calcarea bianca del monte Cucco, impreziosita com’è dal portale, con lo strombo a fasci di colonnine decorate. Interessante il particolare delle basi dei due stipidi del portale stesso: vi si notano infatti due bassorilievi, di gusto romanico, rappresentanti, entrambi, una mano nell’atto di afferrare un cagnolino, sul quale incombe l’imminente minaccia di venire abbrancato alla zampa di un leone. È verosimile che, mentre la zampa artigliata  simboleggia il demonio, il cane rappresenti lo spirito del credente, oppure l’animale, per eccelenza, “psicopompo”, cioè trasportatore d’anime.
Degno di nota per l’elegante fattura, il rosone, dalle esili colonnine, ingentilite da fogliami e da altri motivi ornamentali, scolpiti in bassorilievo, sui capitelli.

La chiesa, come la maggior parte dei templi Francescani, era anche un cimitero: sotto il pavimento , infatti, si seppellivano, in “tombe terragne”, i morti e, spesso, l’emanazione di lasciti testamentari serviva, oltre che alla sepoltura, anche a far eseguire dipinti votivi a suffragio delle anime dei defunti. Questo è il significato dell’Ecce Homo,  Imago Pietatis, dipinto sula parete di controfacciata, subito a destra di chi entra in chiesa.
Sotto a tale dipinto, figura l’iscrizione, in caratteri gotici, “HIC EST SEPULCRUS STHEPHAN UGUBINUTI”. ‘qui vi è sepolcro di Stefano Ugubinuti’.
Tale sepoltura, appartenente ad un importante quanto ignoto personaggio, dovrebbe trovarsi nel sottostante pavimento. Un’altra pittura parietale, situata immediatamente a sinistra dell’ingresso, riproduce una croce di tipologia latina, rossa e pomellata; la sua simbologia appare ancora poco chiara, ma, con ogni probabilità, si dovrebbe poter interpretare quale “sigillo di consacrazione”.
Sulla faccia interna del primo pilastro sinistro e del primo pilastro destro della navata centrale, si trovano, l’uno di fronte all’altro, altrettanto apparenti simboli di ordini monastico-cavallereschi (forse Templari, Giovanniti o Crociferi), costituite da croci greche patenti, pigmentate di rosso, ed accompagnate dal simbolo di un “fiore della vita”, a sei petali iscritto in un cerchio. Al di sotto delle croci campeggiano gli araldici simboli dei cosidettilambello e giglio (o fiordaliso), nonché due brevie contratte  epigrafi sovrapposte, ma non ancora decifrate, in carratteri gotici.
Le due navate laterali sono ingentilite da notevoli altari sei-settecenteschi.
Percorrendo la chiesa lungo la parete di sinistra, precedendo dalla controfacciata presso la zona presbiteriale, si incontrano alcuni pregevoli dipinti. Fra essi, sul primo altare a cornu Evangelii, la pala raffigurante l’Annunciazione, olio su tela, degli inizi del secolo XVII, di recente attribuita al pittore tardomanierista eugubino Virgilio Nucci.
L’attribuzione a Virgilio Nucci appare convincente, sebbene non possa escludersi un intervento della bottega del cinquecentesco pittore eugubino.
La composizione ricalca, con evidenti varianti, l’analogo soggetto in origine nella cattedrale di Gubbio e conservato ora nei depositi del Museo Diocesiano. La tela eugubina risulta firmata da Virgilio, e dovrebbe risalire alla fine del XVI secolo, (infatti una cappella dedicata all’Annunziata è documentata nel Duomodi Gubbio perlomeno da 1601).
Ciò ci permette di datare dubitativamente l’opera di Costacciaro agli inizi del Seicento.

In cima alla chiesa, a destra dell’altare maggiore, e sul pilastro sinistro dell’abside, merita una speciale menzione l’affresco raffigurante il martirio di San Sebastiano del 1484, che dovrebbe aver ricoperto gli affreschi più antichi del presbiterio (sec. XIV- XV) ancora parzialmente visibili al di sopra di tale opera.
L’affresco è stato attribuito prima a Niccolò da Gubbio e poi ad Orlando merlini da Perugia.
In calce all’affresco corre un’iscrizione molto frammentaria: ” (…)r . GALA (S) SVS. GVERRE (E) (…)”.
Dovrebbe trattarsi del nome del committente o del dedicatario dell’affresco, il costacciarese Galasso di guerriero Guelfoni, morto nel 1484.
Alcune fonti ci informano che proprio in quell’anno dovette manifestarsi nella zona una pestilenza.
Sembra dunque probabile che Galasso di Guerriero sia morto a seguito di tale epidemia: così si spiegherebbe il suo nome associato all’immagine di San Sebastiano nella principale chiesa del castello di Costacciaro.
Se così fosse , allora l’affresco risalirebbe a circa il 1484, poco dopo la morte di Pietro De Galeotto (1483), al cui stendardo della confraternita perugina di San Francesco con la Flagellazione di Cristo (1480) l’opera costacciarese risulta palesemente ispirata.
Muovendo dalla zona presbiteriale, e proseguendo in senso orario, lungo la parete di destra, sul terzo altare a cornu Epistulae, si può ammirare un altro  dipinto d’autore ignoto: la Madonna ed il bambino appaiono a San Francesco con il cordone in mano (olio su tela, del sec. XVII).

Tale pala, da alcuni attribuita a Giacinto Boccanera (anni ottanta del Seicento), deriva da un’incisione di Francesco Villamena, datata 1597 e ricavata da un dipinto perduto di Ferraù Fenzoni.

L’olio su tela ripete fedelmente la fonte grafica, tranne che nel particolare del cordone tenuto in mano da San Francesco e dal bambin Gesù, assente nell’incisione del Villamena, il quale dovrebbe proprio far riferimento alla Confraternita “sub inuocatione & titulo Cordigerorum S. Francisci”  istituita nella chiesa costaccianese di San Francesco tra il 1635 e il 1647.
Quindi, per completare il suggerito percorso storico artistico interno, spostandosi lungo la navata di  destra verso l’ingresso della chiesa, si trova, sul primo altare a cornu Epistulae, la Deposizione dalla Croce, (lo ‘Schiodato’), olio su tela, degli inizi del sec. XVII, della bottega di Virgilio Nucci.

La pala va considerata, senza alcun dubbio, come prodotto della bottega di Virgilio Nucci, perchè difficilmente ascrivibile al caposcuola in persona.
Infatti, i rimandi a l’arte di Virgilio si devono ad una mano più arcaica e meno educata di quella del maestro eugubino.
L’opera rappresenta un vero e proprio centone (cioè una sorta d’antologia), con rimandi a modelli di Daniele da Volterra, Dono Doni ed altri pittori. Sono già state notate le derivazioni  dalla Crocifissione del Doni nel Duomo di Assisi e dalla Deposizione del Ricciarelli in Trinità dei Monti a Roma. Buona parte della rimanente composizione rimanda invece allo Schiodato di Santa Maria di Montesanto (Sellano), ora nel Museo Diocesano di Spoleto, dipinto da alcuni attribuito alla cerchia di Simone De Magistris.

 

L’ Urna funeraria del Beato Tommaso

L’ arca di Beato Tommaso, cittadino e patrono di Costacciaro (1262-1337), è uno dei più interessanti e pregevoli manufatti lignei secenteschi, a destinazione funeraria, dell’intera diocesi eugubina. L’urna, intagliata e dorata, realizzata appositamente per conservare le spoglie mortali del veneratissimo Beato costacciolo, era originariamente collocata in chiesa ed esibita alla devozione dei fedeli grazie ai due angeli alati, di dimensioni umane , che , inginocchiati, la sorreggevano sollevandola dal suolo, ai lati dalla base.
Incerta pervade l’attribuzione del manufatto ligneo, sebbene gli elementi decorativi dell’arca, soprattutto i putti inseriti nelle paraste, che scandiscono verticalmente i prospetti della struttura, risultino compatibili con la produzione eugubina del maestro di legname luganese Carlo Magistretti, intagliatore attivo a Gubbio e dintorni nella seconda metà del seicento (documenti dal 1679 al 1697)

L’acquasantiera mediovale

Nella nuova, funzionale cappela che custodisce le venerate spoglie del Beato Tommaso da Costacciaro, subito a destra di chi vi entri dalla chiesa, si trova un’acquasantiera due-trecentesca, recante tre simboli colorati di rosso: due “rosette” a sei “petali”, l’una a destra e l’altra a sinistra ed una croce greca patente al centro ed in alto. Sul significato e l’attribuzione della simbologia singolare manufatto sacro, recentemente scoperto dal parroco Don Nando Dormi, sono state avanzate numerose ipotesi. La più praticabile appare, allo stato attuale, quella che ne collega l’origine a qualche ordine monastico- cavalleresco, come ad esempio, quello dei Templari, che, ai primordi del luogo sacro, potrebbe avere avuto, per alcun tempo, direttamente qualcosa a che fare con la fondazione e prima officiatura.