La storia di colle San Paolo

La chiesa risale alla fine del X secolo e, pur nelle sue dimensioni ridotte, manifesta la sua parentela con la molto più famosa chiesa abbaziale di Farneta, come dimostra il confronto fra le piante delle due cripte riprodotte nella diapositiva in basso.

Questo fa pensare che i Benedettini siano arrivati in questo terrritorio, non da Perugia, molto più vicina, ma da occidente, dalla Toscana, dove giò fiorivano le prospere e più intraprendenti abbazie di Campoleone (oggi Capolona, fra Arezzo e Bibbiena) e di Farneta (in diocesi di Cortona, oggi lungo la superstrada Perugia-Siena).

Cinque secoli prima, quando i primi monaci si radunarono con Benedetto, guardandosi intorno potevano vedere soltanto un’Italia prostrata dalle invasioni barbariche, che avevano fatto tabula rasa di tutto ciò che la civiltà di Roma aveva costruito in tutti i campi: città e villaggi distrutti, campagne spopolate, popolazioni disorientate ed avvilite. I Benedettini non si persero d’animo, ma seppero ridestare nel popolo le capacità sopite e mobilitare le energie represse, mettendo in atto il loro semplice programma: “Ora et labora – Prega e lavora” , non come due azioni distinte da eseguirsi in tempi diversi, ma facendo del lavoro una continuazione della preghiera: sia che tu eserciti le tue capacità mentali nello “scriptorium”, sia che impieghi i tuoi muscoli nei lavori dei campi o delle fabbriche, la tua opera è un contributo all’azione creatrice di Dio, quindi un omaggo a Lui; perciò anch’essa è preghiera. Alla luce di questo ideale, furono messe in produzione le campagne; costruite le chiese, le abbazie, le case; tramandati ai posteri i testi dell’antica cultura.

Quasi cinquecento anni dopo, all’nizio del secondo millennio, gli insediamenti benedettini erano abbastanza frequenti; senza andare troppo lontano da Colle S. Paolo, ricordiamo la sede abbaziale di S. Benedetto dei Sette Fratelli a Pietrafitta, una comunità forse eremitica a Jerna, soppressa poi e trasformata in “vicarìa” da Sisto IV; le abbazie di Sant’Arcangelo del Lago, di S. Benedetto a Villastrada e di S. Cristoforo a Badia.

La chiesa

Nel secolo XIX secolo, la struttura dell’antica chiesa è stata travolta dalla costruzione della nuova sullo stesso posto. Risulta vana la ricerca negli archivi dei progetti di questi ultimi lavori, che forse avrebbero potuto illuminarci sulla struttura della vecchia chiesa, a noi oggi non resta che cercare di immaginare come fosse fatta, avalendoci dell’aiuto delle “visitie pastorali”, della piantina della cripta e della presenza delle absidi superstiti.

La lunghezza e l’altezza non dovevano essere molto diverse dalle attuali; la larghezza era quasi sicuramente superiore. La copertura era “a capriate” o “a cavalloni”, come si diceva una volta. 

La navata era unica con accenno alla “croce latina” inprossimità del presbiterio, in corrispondenza delle due absidi laterali ora scomparse; a questa “croce latina” accennano varie visite.

La parete di fondo era costituita dalle tre absidi, miracolosamente sopravvissute a quello che chiameremo il “ciclone 1886″, che invece ha travolto le due che alle stesse facevano ala, dando luogo a quel breve allagamento della navata che dava l’idea della appenna nominata “croce latina” Di una delle due absidi laterali, e precisamente di quella “in cornu Evangelii”, è sopravvissuta la fondazione, tuttora visibile ai piedi della parete nord dell’attuale chiesa: si presenta come una struttura muraria, di poco emergente dal terreno circostante, a forma di “arco di cerchio” irregolare, con il raggio di un metro ed una base di m. 2,80; la parete dell’edificio che corrisponde a questa base si distingue abbastanza chiaramente dalla restante per cui si può dedurre che sia stata costruita in un tempo più recente, evidentemente per chiudere il vuoto lasciato dalla distrutta abside laterale. Della sua omologa non vi sono tracce visibili perché il suo spazio era occupato dalla canonica (ed ora dall’eremo).

La vecchia chiesa aveva “una sola porta (di fronte ad essa era l’altare maggiore) e tre piccole finestre, quella sopra la porta che conduce al cemeterio deve essere aumentata per dare più luce alla chiesa. Tutte devono essere provviste di vetri, perché quella sopra la porta di ingresso è provvista solo di una tela lacera”.

Il campanile, a vela, era sopra il tetto, probabilmente nello stesso punto dove ora si trova e con le stesse due campane di 50 e 20 Kg.

La chiesa aveva tre altari: il maggiore, sulla parete di fondo di fronte alla porta d’ingresso, era dedicato ai SS. Apostoli Pietro e Paolo ed aveva dapprima un’icona nella quale gli stessi erano rappresentati ai lati della Beata Vergine Maria, successivamente vi è stata posta la tela con la Madonna del Rosario, S. Domenico e S. Caterina da Siena, con dipinti intorno i 15 misteri del rosario trasferito successivamente sull’altare in cornu Epistolae, di fronte al quale si trovava l’altare di S. Antonio da Padova, con l’icona del Santo su tela. I due altari secondari potevano trovarsi o nelle due absidi laterali, oppure all’incirca dove sono ora in confronto alle pareti laterali della chiesa, ma, in queto caso, dovevano essere meno “rifiniti” di quelli attuali e più adatti ad accogliere quadri della grandeza di quelli descritti che, dopo il “ciclone 1886″, fuorno collocati fronte a fronte, ad una certa altezza, nelle due pareti libere fra gli altari ed il presbiterio.  
Nel 1868, sorse la nuova chiesa di Colle S. Paolo, sulla cui parete interna, sopra la porta, venne posta questa lapide scritta in latino. Qui, dove si dice che, attraverso i precipizi dei monti, gli Apostoli Pietro e Paolo, stanchi del cammino, si siano fermati, sopra l’antichissima cripta fu eretto il nuovo tempio nell’anno del 1868.

La cripta
La volta è sorretta da quattro colonne: tre di travertino ed una di granito d’Egitto; allineate con esse, nelle due nicchie laterali, vi sono due mezze colonne scanalate, pure di travertino. Interessante più delle altre è la prima che si incontra entrando, in quanto ha per capitello un “tronco di piramide” rovesciato che era già servito per stele funeraria nella tomba di Etennia; il suo nome è preceduto dalle lettere latine “D.M.”, che abbastanza spesso precedono le iscrizioni delle tombe romane.

La volta della cripta è costituita da lastre abbastanza spesse di pietra grezza, che purtroppo, nel corso del famoso “ciclone”, si è avuto il cattivo gusto di ricoprire in gran parte di intonaco. Fra la seconda e la terza colonna, in corrispondenza dell’unica nicchia del lato ovest, è presente un blocco di pietra parallelepipedo, con facce rettangolari verticali nella loro maggiore dimensione, che con una “mensa” appena più ampia collocatavai sopra, può fungere da altare; sulla superficie anteriore, nella parte centrale, è scolpita una croce e sopra i suoi bracci, due figure sommariamente scolpite, nelle quali qualcuno vede due cuori, qualche altro due frutti.